La lentezza pericolosa dell’Europa
Riassumendole, c’è chi ritiene in cuor suo che i recenti (limitati) successi russi indichino che l’Ucraina non potrà resistere a lungo e che dunque sanzioni tese a indebolire la Russia siano futili, forse più dannose per l’Europa che per Mosca. Analisi alla quale si contrappone quella di chi è convinto che proprio per la fase delicata dei combattimenti si debbano imporre costi sempre più alti agli aggressori con l’obiettivo di frenarne l’avanzata e possibilmente rovesciarla. Differenze nell’approccio a Putin che prendono la forma di divisioni nette.
Domenica, mentre i diplomatici dei Paesi Ue non riuscivano a trovare un compromesso sulle sanzioni da presentare al vertice di ieri e oggi, il ministro dell’Economia e vicecancelliere tedesco Robert Habeck ha detto che l’unità degli europei sulle sanzioni «sta già iniziando a sgretolarsi». Nei governi dei Paesi dell’Est europeo, le frequenti telefonate del presidente francese e del cancelliere tedesco a Putin sollevano il sospetto che alcune capitali dell’Ovest vogliano spingere Zelensky a cedere parti del territorio ucraino a Mosca per arrivare a una sorta di pace. Dopo la telefonata di 80 minuti di Macron e Scholz a Putin, sabato, una serie di dichiarazioni di politici e ministri dei tre Paesi baltici hanno sostenuto che questi colloqui danno legittimità al capo del Cremlino e sono controproducenti. «Sembra — ha scritto il vice primo ministro lettone Artis Pabriks — che ci sia un numero di cosiddetti leader occidentali che ha l’esplicito bisogno di auto-umiliazione combinato con il totale distacco dalla realtà politica». Parole forti, tra partner. Il dato di fatto è che al momento non si vede una leadership capace di tenere uniti i 27, né a Berlino né a Parigi. Le sanzioni sono insufficienti e ogni giorno nelle casse di Mosca entra un miliardo di dollari dalle vendite di energia all’Europa. Kiev dice che di armi ne arrivano poche. E la promessa fatta da von der Leyen a Zelensky di apertura del processo di adesione dell’Ucraina alla Ue è ora caricata di distinguo in Germania e in Francia. Sì, «non ci siamo ancora»: occorre una presa d’atto dell’urgenza della situazione. Anche per evitare che una vittoria di Putin trasformi le divisioni di oggi nella Ue in conflitti politici domani.
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