Johnny Depp e Amber Heard, un processo-reality tra droga, lusso e volgarità: l’altro volto di Hollywood
L’infanzia nel natio Kentucky come una pièce di Tennessee Williams: il padre debole e la madre mostruosa che si faceva beffe dello strabismo di Johnny («Mi chiamava orbo, occhiotorto, rideva della benda che dovevo portare sull’occhio sano per allenare quello malato: avevo cinque anni»), le botte, le cinghiate («Ricordo la cintura di cuoio chiaro»), il padre che abbandona i figli e la rassegnazione di Johnny («Capii che non avevo il potere di convincerla a cambiare»). E poi la parata di esperti, i periti di parte. L’esperto di «big data» che ammette di non saper determinare con precisione la cosa per la quale è stato chiamato (da Heard). L’ex agente di Depp che tra un sorso e l’altro d’un beverone a base di caffè liquida la fine della sua carriera da star con «aveva debiti, arrivava in ritardo, ma non tocca più a me venderlo». L’esperto mandato da Heard che spiega «guadagnò 1 milione per Aquaman, 2 milioni per Aquaman 2, la sua stella era in ascesa», poi però l’esperto mandato da Depp affonda la tesi, «se il suo momento da “è nata una stella” era nel 2018, perché subito dopo venne pagata solo 200 mila dollari a episodio per un telefilm?».
Il linguaggio brutale di Hollywood del box office e del potere temporale che da esso deriva, almeno fino a una causa civile di sei settimane, lei e lui con gli sguardi che sprizzano odio e disprezzo, una causa con un vincitore e due sconfitti, strana la vita delle star di Hollywood anche in questo caso.
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