Grano ucraino, le condizioni di Putin: “Dai miei porti o dalla Bielorussia”
dalla nostra inviata Rosalba Castelletti
MOSCA – Rimanda le accuse al mittente, gioca sui numeri, prospetta scenari. Ancora una volta il presidente Vladimir Putin rimesta le carte sul tavolo. Stavolta la partita è quella del grano, legata a doppio filo con quella che Mosca chiama “operazione militare speciale” e con le sanzioni varate in risposta dall’Occidente. I prezzi dei cereali e degli oli vegetali sono schizzati alle stelle dopo tre mesi di offensiva in Ucraina. La Fao prevede da otto a 13 milioni di persone denutrite in più se la crisi dura. E l’Onu teme “un uragano di carestia”, soprattutto nei Paesi africani che importano più della metà del loro grano da Kiev e Mosca. Ma i semafori sono rossi. Le navi non partono più dall’Ucraina che era il quinto esportatore di grano al mondo e da solo forniva il 46% del commercio mondiale di olio di semi e di girasole prima che la Russia lanciasse la sua offensiva. Tanto che Macky Sall, il presidente senegalese a capo dell’Unione Africana, ieri è volato a Sochi per perorare i timori del continente dell’impatto della paventata crisi alimentare mondiale tornando a casa “molto rasserenato e molto felice” dopo il vertice di tre ore con il presidente russo.
Putin non ci sta a diventare il capro espiatorio. Un po’ pokerista, un po’ judoka, intervistato dalla tv di Stato Rossija 1 a margine del suo incontro con Sall, prima attacca l’Occidente – usando un modo di dire russo – di tentare “di spostare i problemi da uno malato di mente a uno sano”. Perché, se è vero che c’è “una situazione sfavorevole del mercato alimentare mondiale” – la chiama così – è iniziata con l’esplosione della pandemia di coronavirus nel febbraio 2020. E le sanzioni, compreso il sesto pacchetto varato dalla Ue in risposta all’intervento russo in Ucraina, sostiene, non fanno che “peggiorare la situazione sui mercati globali”. Parla di “bluff” e inizia a snocciolare cifre: dal momento che il mondo produce 800 milioni di tonnellate di grano, se l’Ucraina era pronta a esportarne 20 milioni tonnellate, parliamo – dice – “del 2,5 per cento”. Ma in realtà, sostiene lui, Kiev potrebbe esportare solo cinque, sei, al massimo sette milioni di tonnellate di mais. Poi sventaglia un poker di opzioni per sbloccare le esportazioni di grano. In primo luogo, attraverso i porti ancora sotto il controllo ucraino, come Odessa, purché le acque vengano “sgomberate” da Kiev: sminati i fondali e rimosse le “navi deliberatamente affondate”. In cambio, la Russia consentirebbe “il passaggio sicuro delle navi nelle acque internazionali”. “Siamo pronti a farlo, non sfrutteremo la situazione di sminamento per lanciare attacchi dal mare”, assicura Putin. Seconda possibilità, attraverso i porti ucraini di Mariupol e Berdjansk che si affacciano sul Mar d’Azov che sbocca nel Mar Nero, conquistati da Mosca nei primi cento giorni di “operazione militare speciale”. Oppure grazie al trasporto sul Danubio “via Romania”, ma anche “via Ungheria” o “via Polonia”.
Infine, cala l’asso. “Ma la cosa più semplice, facile ed economica, sarebbe l’esportazione attraverso il territorio della Bielorussia”, sottolinea rilanciando la disponibilità espressa già in mattinata dal leader alleato Aleksandr Lukashenko in quella che sembra una manovra a tenaglia. “Da lì puoi andare nei porti baltici, poi nel Mar Baltico e poi in qualsiasi parte del mondo”. Ma per questo, insiste, “è necessario rimuovere le sanzioni dalla Bielorussia”.
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