La malattia di Putin è credo popolare, così ci affidiamo alla punizione divina
Domenico Quirico
Dunque, Putin è malato, malatissimo. Anzi moribondo. I servizi segreti del Regno Unito, che sono sempre un po’ più ottimisti della Cia americana e incalzano gli spioni di oltreoceano, garantiscono addirittura che è già morto. Ma come? E allora? Semplice! Al Cremlino boiari astutissimi e affaccendati stanno regolando in santa pace i conti della successione, si esemplifica. Tanto per non far intuire nulla al Nemico di come si chiamerà il suo prossimo guaio i perfidi diadochi applicano lo stratagemma pirandelliano di altre accorte pattuglie di despoti, da Saddam Hussein a Gheddafi, sempre alle prese con il rischio pugnali e veleno: il sosia che incontra reduci e bimbetti, da ordini a generali e gerarchi, insomma fa la sua parte incarnando con efficace perizia la parte del cattivo da outretombe che continua a demolire a cannonate la sventurata Ucraina.
Giunge, con le rivelazioni “fatte filtrare” dai servizi americani, a compimento un lungo percorso di retroscena avviato con metodi più artigianali e paesani da siti, sottositi, ciarloni online, contastorie in rete e non, diventate una sorta di storia parallela della guerra nell’Europa centrale.
Già novantanove giorni fa la notizia ti agguantava, certa scontata
ultrasicura risolutiva, ogni mattina. Chi non è stato vessato da amici,
conoscenti e consanguinei con una affermazione perentoria e intrisa di
non troppo segreta soddisfazione: «Hai visto? Putin ha il cancro!»?
Insomma:
inutile perder tempo a considerare le traiettorie presenti prossime e
future di questo bozzolo di terza guerra mondiale a due ore da Trieste.
Ha già risolto tutto l’Onnipotente, da par suo.
Se tentavi di avanzare qualche timido dubbio («…l’ho visto ieri in tv, Putin, parlava a notabili… camminava tra la folla… e non mi pareva quasi defunto»), per debellare i ridicoli dubbi dell’apostata ti azzannavano con i dettagli della diagnosi: «È gonfio… gli trema la gamba… si appoggia con la mano al tavolo… ha l’occhio fisso… è quasi cieco (la punizione di Tiresia ma senza il dono della preveggenza)… tiene una coperta sulle gambe durante la parata militare, la veterana centenaria accanto a lui è in maglietta… come lo spieghi…? Lo hanno operato ieri… è sparito da una settimana… vive in ospedale… l’amante è già scappata in Svizzera, che vuoi di più?».
Insomma una saga, una serie televisiva con l’ultima puntata già scritta obituariamente. Per frenare questa frivolezza un po’ empia si prova a chiedere le date dell’immancabile decesso. «Manca poco» rispondono gli approssimativi. «Tre anni» i realisti che hanno probabilmente letto le cartelle cliniche compilate da medici più o meni illustri a cui è stato chiesto di procedere a una visita televisiva, diciamo così, dello zar.
La malattia mediatico televisiva di Putin, ora sanzionata dalla verità “inconfutabile” dei servizi segreti occidentali, è rivelatrice delle pieghe della drammatica vicenda ucraina, svela molte cose dell’occidente e in fondo anche degli imbarazzi della politica nei confronti del grave problema russo. I racconti popolari, e questo è la storia della malattia di Putin, non sono altro che storia magica. Come Mackie Messer e Mefisto, il nemico di Tex Willer, popolano i sogni della nostra fantasia dei fumi della polvere e di sanguinose vendette, di terrori infantili e di implacabili contrappassi. Essi mettono di fronte la società alla verità di un fatto, la guerra ad esempio, la paura del conflitto atomico, la minaccia di una anarchia violenta che travolga il nostro presente tranquillo e ordinato. Nasce un verità che tutto risolve, e Oplà! Esclamiamo: tutto torna a posto. Il cattivo è spazzato via, i buoni cioè noi trionfano.
La morale della favola popolare è: non temete, il tiranno aggressore porta dentro di se la punizione che lo rode, sa di dover pagare. I guai che ci impone sono gli ultimi sussulti di un cadavere già vinto. Dissimula ciò che svela con la sua esagerazione , con la violenza dei colori, con la sua drammatica teatralità, con una sorta di magia da fiera: la nostra paura e la nostra impotenza.
In fondo da cento giorni le potenze dell’occidente non riescono a frenare l’aggressione del tiranno. Bombe in leasing e sanzioni planetarie, espulsioni dal salotto buono dei Grandi e anatemi filosofici. Niente. Lui distrugge, annette, avanza, affama mezzo pianeta, semina zizzania. Sembra inattaccabile.
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