Il richiamo della foresta rossa
Ascolto e leggo – ogni giorno, da più di tre mesi – affermazioni strabilianti sull’invasione dell’Ucraina. L’infamia – come vogliamo chiamarla? – viene taciuta; le responsabilità, sfumate; l’orrore, addolcito. Poiché quelle opinioni arrivano anche da persone intelligenti, mi domando: c’è qualcosa che mi sfugge? La guerra è una grandine che distrugge i pensieri. Forse sta accadendo anche a me, e non me ne rendo conto.
Qualche esempio del mio stupore. Carlo Rovelli, fisico: «Bisogna uscire da questa logica per cui bisogna stare da una parte o dall’altra». Mi perdoni, professore, ma questa logica appare invece rigorosa. Dobbiamo condannare l’aggressore e sostenere l’aggredito. L’equidistanza, davanti all’orrore che vediamo, è una forma di astensione. Un errore che abbiamo già commesso, nel XX secolo, e l’abbiamo pagato caro.
Ginevra Bompiani, editrice e scrittrice: «Fino all’anno scorso prendevo come unità di misura il Covid, ma era più facile perché nessuno aveva una posizione ragionevole (…) Ora con la guerra è diverso, perché la metà del Paese è contro il governo sull’invio delle armi» e «Draghi se ne frega». Mi scusi, ma esiste un parlamento, e sostiene la posizione del governo. E poi: se non aiutiamogli ucraini a resistere, dovranno arrendersi, con le conseguenze del caso. Oppressione per loro, nuovi rischi per noi.
Michele Santoro, giornalista televisivo: «Putin non è il nostro peggior nemico, il nemico più mostruoso è la guerra». Mi perdoni, il decorato collega, ma davvero non capisco. Chi l’ha scatenata, questa guerra? Io? Lei? Il Grande Puffo? Questa guerra insensata – città distrutte, civili uccisi, bambini deportati, rischi globali – l’ha voluta, preparata (negandolo) e scatenata una persona, e si chiama Vladimir Putin. E lui potrebbe farla smettere: anche oggi. Vogliamo dirlo?
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