La domanda non è più se Salvini e Conte tireranno giù il governo, ma se la Lega e M5s tireranno giù loro
È incantevole sentire Giancarlo Giorgetti parlare come se risiedesse in un altrove, fuori dalla Lega e fuori dal governo. Come ieri a Trento, dove investendo un eloquio spassionato ha tracciato la passione di Cristo da cui siamo attesi, in un autunno di inflazione, non soltanto dei prezzi ma dei toni, delle rivendicazioni identitarie e cioè propagandistiche, in una tradizionale subordinazione dell’andamento dei conti all’andamento dei sondaggi.
Per capire che cosa faranno Lega e Cinque stelle il 21 giugno, bisogna chiedere a Matteo Salvini e a Giuseppe Conte, ha detto ieri Giorgetti, sempre dal suo altrove – non vorrei essere frainteso: nel tripudio di finte isterie e isteriche finzioni, la sua continenza è in odore di santità. Il 21 giugno Mario Draghi andrà al Senato per le comunicazioni precedenti al Consiglio europeo del 23, il 22 sarà alla Camera, e si dibatterà dell’approccio italiano alla guerra in Ucraina, in particolare del sostegno armato, e si direbbe dunque il momento e il luogo giusto per i due traballanti leader, abbarbicati su un pacifismo à la page, di portare a casa qualcosa più di una chiacchiera da seconda serata. “Il Parlamento è sovrano e quindi se non la pensa come il premier bisognerà trarre le conseguenze”, dice Giorgetti. Un passaggio rischioso, aggiunge e, aggiungo io, giusto per portare a terra il ragionamento, un Parlamento che non la pensasse come il premier sulla più grande crisi mondiale degli ultimi cinquant’anni, sarebbe un Parlamento che lo sfiducia, e provoca o perlomeno introduce la crisi di governo.
Per un punto in più nei sondaggi, lo farebbero a occhi chiusi, c’è da giurarci. Per loro, la vulnerabilità del paese è nulla davanti alla vulnerabilità di due partiti che quattro anni fa governavano il Paese, dopo aver dominato uno le elezioni politiche e in procinto l’altro di dominare le Europee, e oggi relegati alla periferia dell’impero con percentuali di gradimento più che dimezzate. Si tratta di aspettare un paio di settimane e si vedrà. Soltanto una manifesta spericolatezza mi induce a pronosticare che non succederà nulla, ma sono appunto spericolato perché continuiamo ad applicare a grillini e leghisti (perlomeno ai leghisti salviniani) le categorie della logica, mentre loro si muovono nell’illogica. Ma se gliene è rimasta un brandello, di logica, e dalle dichiarazioni di queste non va escluso, si domanderanno che fare un momento dopo. Non soltanto con chi allearsi e con quali prospettive, poiché inseguono il Pd e F.lli d’Italia, e senza recuperare terreno, ma anche quali responsabilità di governo assumersi.
Ieri qui Giuseppe Colombo ha spiegato bene le prospettive economiche dell’autunno, l’aumento dei tassi di interesse, lo spread, l’inflazione, il controllo dei conti pubblici, le scelte dolorose da prendere con disponibilità molto ridotte, e senza aggiungere la responsabilità di restare allineati oppure no al mondo occidentale – alla Nato – nella contrapposizione alla guerra di Vladimir Putin. Davvero se la sentiranno di sloggiare Draghi, affrontare i conseguenti allarmi dei mercati (che saranno brutti e cattivi ma sono creditori nei nostri confronti di 2mila e 700 miliardi di euro, il debito pubblico), e subito incaricarsi della legge di bilancio? Forse nemmeno i tratti di follia e autolesionismo manifestati in questi anni bastano per pronosticarli impegnati in una tale impresa.
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