Crisi del grano: come Putin sta forzando l’immigrazione dall’Africa verso l’Europa

di Francesco Battistini, Milena Gabanelli e Massimo Sideri

La Russia, con 10,1 miliardi di dollari di valore all’anno, è il primo esportatore di grano al mondo. Può non sembrare enorme rispetto ad altri mercati (gas e petrolio), ma da essa dipende la maggior parte dell’apporto calorico e del foraggio da animali da allevamento in molti Paesi poveri. E si tratta di grano tenero, quello per fare il pane, che ha un peso importante sui panieri dei prezzi di tutti i Paesi: come per l’energia, chi controlla il grano controlla il carovita. Una lista dei Paesi che dipendono per più del 50% delle proprie importazioni dal grano russo fornisce un’idea accurata del peso di Vladimir Putin nella geopolitica della fame: secondo la Fao, Kazakhstan, Mongolia, Armenia, Azerbaijan e Georgia dipendono quasi al 100% dal grano russo, mentre hanno una dipendenza tra il 50 e il 100% Bielorussia, Turchia, Finlandia, Libano, Pakistan e molti Paesi africani.

La vera vittima: l’Africa

L’Egitto comprava dall’Ucraina il 22% del proprio fabbisogno, la Tunisia il 49%, La Libia il 48%, la Somalia il 60%, il Senegal il 20%, la Repubblica Democratica del Congo il 14%, la Tanzania il 4%, il Sudan il 5%. Come è noto questo grano è bloccato. Ma cosa sta accadendo nei porti russi? I numeri ci svelano che il granaio del mondo non ha mai smesso di mandare grano verso Turchia, Medio Oriente e i clienti africani: l’Egitto continua a ricevere da Mosca il 60% del proprio grano importato, la RDC il 55%, la Tanzania il 60%, il Senegal il 46%, il Sudan il 70%, la Somalia il 40%, il Benin il 100%, e di poco si discosta l’Eritrea.

Numeri che fanno comprendere bene alcune solide alleanze che si sono venute a creare in questi mesi sullo scacchiere della guerra russa contro l’Ucraina. In primis la Turchia, un Paese che ha un’importanza strategica visto lo sbocco del Mar Nero sullo stretto dei Dardanelli: non è un caso che all’inizio della Prima guerra mondiale proprio in questo imbuto si giocò una strategia «della fame» simile a quella che sta creando la Russia bloccando le navi ucraine. L’Impero Ottomano bloccò il passaggio del grano verso il Mediterraneo per colpire Francia e Gran Bretagna. Questo causò già allora un’esplosione dei futures sul grano (+ 45%) sulla Borsa di Chicago, ancora oggi la maggiore piazza al mondo per le materie prime. I futures sono dei prodotti finanziari che ne permettono l’acquisto a un prezzo atteso in una data futura.

La storia si ripete

La stessa missione navale Ue per scortare i carichi di grano ucraini, se mai ci fosse, avrebbe bisogno del placet di Ankara: la Convenzione di Montreux del 1936 stabilisce che, quando c’è una guerra nell’area, spetta alla Turchia l’ultima parola su chi può navigare attraverso i Dardanelli e il Bosforo. Solo Bulgaria e Romania, altri due Paesi rivieraschi e membri della Nato, avrebbero il diritto di scortare i convogli navali. Per inciso, gli altri maggiori esportatori di grano, Europa a parte, si trovano tutti distanti dal Mediterraneo: sono Canada, Argentina, Stati Uniti e Australia. In tutto il mondo, nel 2021, sono stati prodotti 777 milioni di tonnellate di grano (tipo wheat): la produzione negli ultimi dieci anni, come è accaduto con tutti i cereali (2.799 milioni di tonnellate totali), è aumentata. Ma, di pari passo, sono cresciuti anche gli stock, cioè le capacità di conservazione che per il grano può superare i due anni.

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