Scali pieni e piloti stremati. Il grande ingorgo dei cieli che mette a rischio I’estate

di Aldo Fontanarosa

ROMA – Da settimane alcuni degli aeroporti più organizzati al mondo – dall’Olanda al Regno Unito – conoscono ore, a volte intere giornate di esasperazione e rabbia.

Preoccupati dalla pandemia, per quasi due anni i turisti, i manager e gli studenti si erano tenuti lontani dagli aerei. Ora hanno semplicemente ripreso a volare. Negli scali, però, non hanno trovato più addetti alla sicurezza, alla gestione dei bagagli e personale di terra sufficienti a fronteggiare un simile afflusso di passeggeri. Troppe le persone licenziate nei mesi del Covid-19; troppi i lavoratori precari che si sono rifiutati di tornare in aeroporto perché la fatica sarebbe stata tanta, la paga inadeguata. 

E così gli aeroporti di Schiphol ad Amsterdam, di Heathrow a Londra, di Dublino in Irlanda – quasi leggendari per efficienza – hanno conosciuto l’onta delle file infinite, degli anziani svenuti per la fatica, dei pompieri a distribuire acqua ai più deboli, delle risse, dei voli cancellati a ripetizione. Disagi anche a Bruxelles – che ha avviato un piano straordinario di reclutamento di 1200 addetti per lo scalo di Zaventem – e a Francoforte.

I problemi, che hanno fatto capolino già a marzo, ancora oggi non sono arginati. Il primo giugno, il Regno Unito ha accusato 150 cancellazioni di voli (soprattutto da Tui Airways, easyJet e British Airways). Con effetto domino, i disagi si sono trasferiti da Heathrow – pilastro del trasporto aereo inglese – agli altri aeroporti londinesi di Stansted e Gatwick; e ancora a Manchester e Glasgow.

Quasi mille le persone che hanno perso il volo domenica 29 maggio a Dublino per le code lunghissime, con il governo irlandese che ha perfino valutato l’impiego dell’esercito per sbloccare la situazione. Il 30 maggio, Klm ha ordinato a 40 velivoli, in teoria gremiti di passeggeri, di rientrare vuoti ad Amsterdam perché lo scalo non avrebbe retto l’onda d’urto degli arrivi.

Chi prevedeva un ritorno graduale al viaggio in aereo, dunque è stato smentito. L’Eurocontrol, osservatorio tra i più qualificati, ci dice che il traffico in Europa era ancora fermo al 68% a gennaio, rispetto allo stesso mese del 2019, ultimo anno prima della pandemia.

Tre mesi dopo, quando il Covid è sembrato sotto controllo, la voglia di spostarsi è esplosa come un tappo di spumante portando il traffico all’82% (siamo ad aprile). Sempre Eurocontrol stima l’afflusso dei passeggeri nelle prossime settimane e la corsa alla carta d’imbarco – questo è ormai sicuro – non si fermerà. Uno scenario realistico dà la domanda di volo a ridosso del 90% (rispetto sempre al 2019) già a giugno e luglio prossimi. Uno scenario ottimistico, ma non improbabile, la colloca al 95%.

Oltre ai passeggeri, pagano il conto dell’impennata dei viaggi i piloti. Tra marzo e aprile, gli equipaggi di Delta hanno manifestato in tutti gli Stati Uniti con cartelli eloquenti: “Più stanchi noi, meno sicuri voi”. Li hanno seguiti a ruota i piloti della Southwest. E ha fatto il giro del mondo la notizia del comandante del volo Ita del 30 aprile, da New York a Roma, sospettato di essersi addormentato a bordo. Un Lamezia-Malpensa di Ryanair del 2 aprile è stato annullato. Gli equipaggi hanno confidato ai passeggeri: siamo sfiniti.

L’Italia sembra fuori quantomeno dall’emergenza scali. Il merito è probabilmente del governo che ha stanziato 800 milioni per pagare la cassa integrazione ai lavoratori delle società di gestione degli aeroporti. Posti di lavoro che dunque sono stati congelati, ma non persi. Posti ora riattivati, con la crescita vigorosa di arrivi e partenze. L’Enac, l’ente sentinella della sicurezza nei cieli, ha distribuito i soldi, conservando peraltro 160 milioni in cassa. 

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