Sanzioni, l’oligarca Vladimir Potanin salvo grazie al nichel: una stretta sulle sue miniere fermerebbe l’economia
di Paolo Valentino
Fedelissimo di Putin, secondo uomo più ricco di Russia, è fuori dalla lista delle sanzioni: una stretta sulle sue miniere in Siberia manderebbe in tilt l’economia mondiale
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
BERLINO — Sono tempi duri per gli oligarchi russi. Le sanzioni occidentali ne restringono la libertà di movimento e congelano i favolosi patrimoni all’estero:
ville e yacht sequestrati, carte di credito bloccate, conti bancari
irraggiungibili. Gli Stati Uniti, l’Unione europea e il Regno Unito li puniscono per la vicinanza e il sostegno politico e finanziario a Vladimir Putin e alla sua guerra di aggressione.
Eppure non tutti gli oligarchi sono uguali, agli occhi dell’Occidente. Ce ne sono alcuni più uguali degli altri. E a fronte dei quasi 40 plurimiliardari sanzionati, ce ne sono almeno altrettanti che rimangono ancora fuori dalla lista nera. Una combinazione un po’ ipocrita di valutazioni politiche, economiche e geostrategiche spinge infatti i Paesi occidentali a risparmiarli.
Di tutti, il caso più clamoroso è quello di Vladimir Potanin, 61 anni e un patrimonio che prima dell’inizio della guerra era valutato sopra i 30 miliardi di dollari, il che fa di lui il secondo uomo più ricco della Russia. Eppure, parliamo di un fedelissimo dello Zar, che ha lealmente appoggiato sin dagli inizi, sempre pronto a esaudirne i desideri e a giocare secondo le sue regole, perfino quando nelle partite di hockey — una delle passioni che condivide con Putin insieme allo sci — bisognava farlo segnare e vincere.
Ma nonostante questo, Potanin continua a viaggiare, godersi i suoi due super yacht, agire sui mercati, anche per conto del Cremlino, come se non ci fosse alcuna guerra. Per completezza d’informazione, il suo nome figura nella lista dei sanzionati approvata da Australia e Canada, ma né gli Stati Uniti, né l’Ue hanno alcuna intenzione di aggiungerlo alle loro. Perché?
La risposta è semplice: Potanin è azionista di maggioranza di Norilsk Nickel, azienda mineraria siberiana che produce il 15% del nichel e il 40% del palladio usati nel mondo, due materie prime indispensabili rispettivamente per la fabbricazione dei microchip e delle automobili. Sanzionarlo rischierebbe di far esplodere il prezzo dei due metalli, con conseguenze devastanti sulle forniture per l’industria automobilistica e quella dei semiconduttori.
L’esenzione di Potanin dalle sanzioni è una benedizione per il Cremlino, che grazie a lui sta riprendendo il controllo di una serie di banche, svendute frettolosamente dai gruppi occidentali che hanno lasciato la Russia dopo il 24 febbraio o da altri oligarchi che hanno osato criticare la guerra. Così, il suo gruppo Interros ha riacquistato Rosbank da Société Générale, cui l’aveva venduta nel 2008. E quando il miliardario russo residente a Londra, Oleg Tinkov, è stato costretto dal Cremlino a vendere il suo 35% della florida Tinkoff Bank per aver definito su Instagram «schifosa» l’azione dell’esercito russo in Ucraina, Potanin è stato pronto a rilevarlo. «Per un prezzo ridicolo, il 3% del suo valore reale», accusa Tinkov.
Nato da una famiglia della nomenklatura comunista, Potanin seguì il padre in una carriera privilegiata da funzionario del ministero del Commercio dell’Urss fino al 1990, anno in cui approfittò del caos della perestrojka gorbacioviana per fondare Interros con un capitale di 10 mila dollari prestatigli da organizzazioni statali. Due anni dopo, la sua Uneximbank diventò banca di riferimento del nuovo Stato russo: da 300 milioni di dollari nel 1992, le sue attività passarono a 2 miliardi nel 1994.
Ma il suo capolavoro lo fece l’anno seguente. Fu lui, infatti, a ingegnare il «furto del secolo», lo schema passato alla storia con il nome di loans for shares, prestiti per azioni. Con Boris Eltsin sempre più impopolare nel Paese e la certa prospettiva di perdere le elezioni del 1996, il gruppo dei sei oligarchi originali «prestò» al governo miliardi di dollari (in realtà depositati nelle loro banche dal governo stesso) ottenendo come collaterali le proprietà statali e sapendo che non sarebbero mai stati ripagati. Quando il Paese, secondo l’accordo, andò in default sui prestiti, gli oligarchi si ritrovarono proprietari dei pezzi più pregiati dei beni pubblici. A Potanin, mente del piano, toccò appunto la Norilsk Nickel: la pagò 170 milioni di dollari, lo stesso anno in cui l’azienda registrò introiti per 3,3 miliardi di dollari. In cambio, gli oligarchi spesero senza limiti per sostenere la campagna di Eltsin, schierando le loro televisioni, assumendo squadre di strateghi americani o più semplicemente comprando milioni di voti. Eltsin venne rieletto. Come ulteriore premio, Potanin diventò vicepremier, carica che tenne per due anni.
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