Sanzioni, l’oligarca Vladimir Potanin salvo grazie al nichel: una stretta sulle sue miniere fermerebbe l’economia

Quando Vladimir Putin arrivò al Cremlino, nel 2000, Potanin giurò fedeltà al nuovo zar, ne accettò il diktat di rimanere fuori dalla politica e fu uno dei pochi oligarchi delle origini a sopravvivere, tenendosi le proprietà e continuando ad arricchirsi. Fece anche di più, assecondando i sogni di grandezza di Putin: investì per primo in una stazione di sci a Sochi e fu il principale lobbysta della campagna che portò nella città sul Mar Nero i Giochi olimpici invernali del 2014.

Nel frattempo, curava la sua immagine in Occidente, finanziando generosamente l’Università di Oxford e facendosi eleggere a suon di milioni nel board della Fondazione Guggenheim, cariche che ha lasciato dopo il 24 febbraio. Potanin ha cercato anche di «pulire» la reputazione di Norilsk Nickel, una delle aziende più inquinanti del mondo, che nel 2020 con i suoi scarichi ha fatto diventare color amaranto due fiumi in Siberia. Il disastro gli valse una pubblica reprimenda di Putin e una multa di 2 miliardi di dollari, che versò all’erario russo senza fiatare. Il 24 febbraio Potanin era fra i 40 oligarchi convocati da Putin al Cremlino e non è stato fra quelli che hanno espresso timori per le proprie attività. All’evidenza, si sentiva sicuro. Per lui, niente sanzioni e ancora grandi affari.

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