Continuano le violenze degli immigrati. Ma la sinistra le nasconde ancora
Ci risiamo. Sei mesi dopo siamo punto e a capo. Stesso drammatico copione, stesse polemiche sterili. Gli abusi inflitti alle povere ragazze di ritorno da Gardaland ricordano drammaticamente le violenze dell’ultimo dell’anno in piazza Duomo a Milano. Branchi di bestie venuti dalle periferie di grandi città, come appunto Milano e Torino. Tutti di origine nordafricana, figli di immigrati, quelle famose seconde generazioni a cui la sinistra di Enrico Letta e compagni vorrebbero svendere la cittadinanza italiana a suon di ius soli. La logica del branco, appunto. Tanti maschi contro poche femmine. Le vittime scelte perché bianche, indifese, facili prede. E poi la mischia, alcuni che fanno da palo, gli altri che si fanno addosso, le mani dappertutto, gli insulti, le violenze sessuali. Poi il dopo, che è terrificante quanto il prima: la maggior parte dei giornali che raccontano fino a un certo punto, che fanno di tutto per nascondere la nazionalità delle bestie, che si mettono a discettare sul branco e non sull’integrazione impossibile, che tengono fuori dal dibattito la matrice culturale del gesto vile. Eppure, viene da dire, ci eravamo già passati.
Ci eravamo già passati all’inizio dell’anno, con i fatti di piazza Duomo a Milano, appunto. E prima ancora, stesso copione, con le orde di barbari in piazza a Colonia. Allora era il 2016 e la Germania, forse, ci sembrava troppo lontana. Lo scorso capodanno, invece, era Milano e non avrebbe dovuto sembrarci così lontano. Perché, sebbene in quei giorni molti milanesi fossero in montagna a sciare o a festeggiare chiusi in casa, quello spaccato culturale, che è andato in scena ai piedi della Madonnina e che nel Nord Africa ha un nome ben preciso (taharrush gamea che in arabo significa “aggredire e molestare le donne in strada”), era un morbo che aveva già contagiato la nostra società. Avrebbe dovuto risuonare nelle nostre teste come un campanello d’allarme. Così non è stato, almeno non per tutti. I progressisti hanno estrapolato, creato distinguo a non finire. E poi si sono arrampicati sugli specchi arrivando addirittura a dire che ci troviamo di fronte a “violenze e comportamenti figli di una cultura patriarcale della nostra società in cui un gruppo di ragazzi si sente in diritto di poter fare quello che vuole nei confronti delle ragazze” .
Non è così che avrebbero dovuto raccontarla. Quei crimini hanno un preciso humus culturale che affonda le proprie radici nelle periferie delle nostre città, sempre più simili alle banlieue parigine, sempre più quartieri dormitorio in mano a immigrati di seconda generazione. È qui, soprattutto a Milano e Torino ma non solo, che si formano i branchi ed è da qui che questi partono all’attacco. Una violenza che trova nell’islam radicale lo svilimento della donna e nel disagio sociale l’odio contro l’Occidente e il Paese che li ha accolti. Prima ancora del capodanno di Milano li avevamo visti in azione in piazza Vittorio, a Torino. Petardi, roghi di cassonetti, fumogeni, bombe carta e lanci di bottiglie. Dopo il blitz al concerto di fine anno, invece, li abbiamo visti rendere sempre meno sicure le vie del capoluogo lombardo. E, mentre veniva smentellata l’operazione “Strade sicure”, il sindaco Beppe Sala continuava a voltarsi dall’altra parte, quasi a non voler ammettere che esiste un’emergenza sicurezza.
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