A Torino c’è un giudice a Mosca no
«Esprimo la mia solidarietà a tutti i giornalisti de La Stampa e al suo direttore: da noi c’è la libertà di stampa, sancita dalla Costituzione…». Con queste parole, semplici e perfette, persino Mario Draghi aveva replicato all’attacco che l’ambasciatore russo in Italia aveva fatto al nostro giornale. Era il 25 marzo, e Sergey Razov aveva convocato agenzie e televisioni davanti alla Procura di Roma, per annunciare un esposto contro di noi, “colpevoli” insieme ad altri organi di informazione di aver “morso la mano che ci aveva aiutato” ai tempi del Covid. L’ambasciatore contestava i nostri articoli sull’opaca missione militar-sanitaria “Dalla Russia con amore”. Protestava per l’uso di una foto in prima pagina, che ritraeva in modo asettico una carneficina nel Donbass, di matrice incerta, come simbolo degli orrori della guerra. E soprattutto ci accusava per un impeccabile editoriale di Domenico Quirico, a sua volta “colpevole” di aver raccontato (per confutarla sul piano morale e politico) la tesi di chi sosteneva che l’unico modo per far finire la guerra in Ucraina era “uccidere Putin”.
La Stampa fa “apologia di reato e istigazione a delinquere”: questi i reati che Razov ci imputava, distorcendo clamorosamente la verità e chiedendo ai giudici una “condanna esemplare”. Due mesi e mezzo dopo è arrivata la risposta della Procura di Torino, alla quale il fascicolo era stato nel frattempo trasferito.
La pm Anna Maria Loreto ha chiesto l’archiviazione del procedimento, e il gip ha accolto la richiesta, perché non sussiste “il reato di cui all’articolo 414, commi 1 e 3 del Codice Penale, e nemmeno in astratto la possibilità di ravvisare altri reati”. Com’era logico e giusto. Il caso è chiuso, dunque. Quello che resta è ciò che denunciammo un minuto dopo l’improvvida offensiva giudiziaria dell’ambasciatore: un atto di cinica intimidazione, inaccettabile e ingiustificabile, da parte di un Paese che ne ha invaso un altro, sta violando con ferocia il diritto internazionale, sta reprimendo con violenza il dissenso interno. E per questo non può permettersi di dare lezioni di libertà e di democrazia a nessuno.
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