Provenzano: “L’Ue vuole rivoluzionare il lavoro, adesso l’Italia non resti indietro”
Annalisa Cuzzocrea
Peppe Provenzano è tra gli esponenti del Pd che più hanno creduto alla battaglia sul salario minimo e contro il lavoro povero. «Per noi ha un valore identitario – spiega il vicesegretario dem – se i salari sono fermi da decenni, se dilaga il precariato, la sinistra del passato ha le sue colpe. Ora abbiamo capito, e dobbiamo andare fino in fondo per recuperare credibilità. E per dimostrare che la destra, e in particolare la Lega che raccoglieva il voto operaio, al dunque si schiera sempre dall’altra parte».
La spinta che arriva dall’Europa aiuterà a condurre in porto la legge?
«Intanto è una rivoluzione per l’Europa, che fin qui riproponeva al suo interno i meccanismi distorsivi della globalizzazione. Certi Paesi membri che facevano dumping sociale mettendo i lavoratori gli uni contro gli altri con le delocalizzazioni. Questa direttiva invece è un passo fondamentale nella direzione dell’Europa sociale, premessa necessaria al rilancio di quella politica. E la Repubblica fondata sul lavoro non può restare indietro».
Il centrodestra non vuole neanche sentirne parlare.
«La direttiva non è vincolante giuridicamente, ma lo è sul piano politico. Il salario minimo non va introdotto perché ce lo chiede l’Europa, ma per i tre milioni e mezzo di lavoratori poveri. Oggi i salari sono sotto i livelli del 1990 e l’inflazione corre a quelli della metà degli anni ’80: un mix esplosivo. Ci sono ragioni di tenuta sociale e democratica, ma anche economiche. Se non sosteniamo la domanda interna rilanciando i consumi rischiamo la recessione».
In che tempi bisogna intervenire?
«Presto, perché a settembre le bollette potrebbero salire ancora e dobbiamo arrivarci preparati, anticipando i contenuti della direttiva. Sveliamo l’imbroglio della destra: non c’è alcuna contrapposizione tra il rafforzamento della contrattazione e l’introduzione di un salario minimo. La nostra proposta, quella su cui lavora il ministro Orlando, tiene insieme i due aspetti».
Eppure secondo Confindustria non li riguarda.
«Allora perché opporsi? Dare valore legale erga omnes ai trattamenti economici fissati dai contratti nazionali più rappresentativi serve a debellare i contratti pirata. In questo momento secondo il Cnel ci sono 992 contratti nazionali di lavoro. Davvero qualcuno pensa siano tutti rappresentativi? La verità è che lungo la filiera dei subappalti molte imprese fanno dumping contrattuale. Se Confindustria lo tollera, va contro la sua funzione di rappresentanza».
La cosa che servirebbe, secondo il centrodestra, è la riduzione del cuneo fiscale.
«Basta giochetti. Quando abbiamo proposto noi il taglio del cuneo, a dicembre, la destra chiedeva solo flat tax e condoni. Questo passaggio rivela la vera partita politica dei prossimi mesi: chi paga i costi di questa crisi e dell’inflazione?».
Chi dovrebbe pagarli?
«Noi non permetteremo che a farlo siano i redditi medio bassi».
Devono farlo i redditi alti o gli imprenditori?
«Quelli che fanno extraprofitti con il caro energia, senz’altro. Ma noi abbiamo sostenuto le imprese di fronte al Covid, alle conseguenze della guerra, alle transizioni. Ora l’urgenza è la questione salariale. Sulla delega fiscale, invece di impantanarsi sul catasto e provare a difendere chi le tasse non le ha mai pagate, la destra lavori con noi per destinare ulteriori risorse ad alleggerire il carico fiscale sui redditi medio bassi. La più grande riduzione del cuneo a vantaggio dei lavoratori l’abbiamo fatta con Gualtieri nel 2020».
In Italia non c’è è soprattutto un problema di bassa produttività?
«A parte che i salari sono andati indietro e la produttività, per quanto di poco, è cresciuta, ora con il Pnrr abbiamo la grande occasione di fare un salto. E certo il lavoro precario e malpagato non aiuta la produttività».
Secondo il presidente di Confindustria Bonomi il reddito di cittadinanza è un competitor.
«Vorrebbe dire che il nostro sistema produttivo invece di competere con la Germania o la Francia vuole farlo con chi paga 500 euro al mese. Siamo nel G7. Avere come modello non l’Europa, ma il terzo mondo, offende i lavoratori e gli stessi imprenditori».
Secondo lei Draghi è pronto a superare le resistenze del centrodestra sui salari?
«Credo sia pienamente consapevole della difficile situazione sociale aggravata dalle conseguenze della guerra. Deve tener conto di questa maggioranza, ma i no ideologici della destra possono essere superati rilanciando il dialogo sociale».
In questo momento le posizioni sono molto distanti: tra Cgil e Cisl e Uil, tra governo e Confindustria.
«Il governo ha il dovere, a partire dai problemi concreti, di riallacciare il filo del confronto con le organizzazioni sociali. Sarebbe davvero un paradosso se la stagione di unità nazionale lasciasse l’eredità pesantissima della rottura dell’unità sindacale».
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