La Bce e lo spauracchio inflazione
Stefano Lepri
C’è aria di recriminazioni dentro la Banca centrale europea, in attesa della riunione di oggi dove si deve precisare la linea per frenare la corsa dei prezzi. Sì, avevamo sottovalutato l’inflazione, ha già ammesso giorni fa la presidente Christine Lagarde. Non era “temporanea” come si era previsto, è persistente. Ma senza l’invasione russa dell’Ucraina, come sarebbero andate le cose? I “falchi” del consiglio Bce, fautori della linea dura, hanno implicitamente messo sotto accusa il capo economista, l’irlandese Philip Lane, che è una “colomba”.
Forse senza guerra i prezzi dell’energia sarebbero calati; e ricordiamoci che in Occidente solo i servizi di informazione americani erano certi dell’invasione; gli altri non ci credevano. D’altra parte i “falchi” più accaniti di allarmi sull’inflazione ne avevano lanciati a più riprese da sette anni, ovvero da quando Mario Draghi aveva dato il via al “quantitative easing” (gli acquisti massicci di titoli per sostenere l’economia). Sicché non c’è da stupirsi che, come nella nota favola di Esopo “Al lupo, al lupo”, non siano stati più creduti quando il lupo è comparso davvero.
Comunque la si pensi, il rischio di essere in ritardo c’è. Per una banca centrale è un rischio serio perché prima ci si muove meno si fa danno: un rialzo modesto, che non freni troppo l’economia, può essere sufficiente solo se molto tempestivo. La Bce si è legata finora a un calendario che prevede il primo ritocco ai tassi di interesse nella successiva riunione di luglio, e probabilmente oggi lo confermerà. I falchi premono per cominciare con mezzo punto; quasi di certo a maggioranza il consiglio sceglierà 0,25. Due rate successive sempre di un quarto di punto dovrebbero seguire fino alla fine dell’anno; lasciando spazio per cambiare strada se per caso la guerra finisse e i commerci mondiali ritornassero più sereni. Teniamo presente che anche così, come ha sottolineato il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, «le condizioni di finanziamento dell’economia resteranno comunque ampiamente favorevoli». Si tornerà a un livello di tassi di interesse pressoché normale nel confronto storico: nell’area euro si ritiene che basti questo per esercitare un effetto anti-inflazionistico sufficiente. Diversa la situazione negli Stati Uniti, con un’economia assai più dinamica che avrà bisogno di una stretta forte per scoraggiare altri ritocchi ai prezzi: il pericolo di strafare dopo essersi mossi in ritardo è più pesante.
Alzare il costo del denaro raffredda gli eccessi di euforia che fanno salire i prezzi. In Europa, la Bce lo sa bene, l’inflazione viene soprattutto dall’alto costo dell’energia, che è colpa della Russia e sul quale i tassi di interesse non hanno effetto. “Soprattutto” quanto? La discussione interna verte soprattutto su quanto altro ci sia oltre all’effetto Putin. Nell’esecutivo Bce Isabel Schnabel, tedesca di idee innovative, per prima ha sostenuto che anche in Europa si è mostrato un eccessivo potere di mercato delle imprese, capace di ritoccare facilmente all’insù i listini.
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