Il richiamo dei numeri ai partiti deboli e divisi

di Sabino Cassese

L’astensione ai referendum si può spiegare come una sorta di sollecitazione a forze politiche largamente rappresentate in Parlamento a provvedere per via legislativa

Un elettore su due non è andato a votare alle comunali, e ai referendum quattro quinti dei cittadini non si sono presentati alle urne. Andiamo verso una democrazia meno democratica, governata da una minoranza, invece che dalla maggioranza? Questo distacco dalla politica deriva dalla sfiducia nella possibilità di influire sui corpi politici ai diversi livelli, oppure dalla insoddisfazione per le proposte dei partiti, quando sono formulate, o, invece, da una più generale anomia dell’elettorato, che viola il «dovere civico» (così la Costituzione) di votare?

Nel secolo scorso, dal 1974, ai referendum abrogativi si è recato a votare da un minimo del 43 a un massimo dell’87 per cento dell’elettorato. La forbice si è attestata nell’ultimo ventennio sul 23-54 per cento. Si è ora giunti al 21 per cento. Ma poteva andare peggio, perché, nei comuni dove si votava per le elezioni locali, circa il 51 per cento degli elettori ha ritirato le schede per i referendum; se non ci fosse stato questo contributo, i votanti per i referendum sarebbero stati circa il 15 per cento. Questa ulteriore diminuzione dei votanti non si spiega con fantasiosi complotti antireferendari, o con la scarsa pubblicizzazione, o con la difficoltà dei quesiti. Si può spiegare piuttosto con altre ragioni: diminuzione del numero dei votanti, in parallelo, nelle votazioni politiche e in quelle referendarie; consapevolezza della complessità della crisi della giustizia, che non può essere risolta con un sì o con un no.

Oppure si può spiegare con la finalità sollecitatoria dei quesiti, presentati o appoggiati da forze politiche largamente rappresentate in Parlamento e persino partecipi della maggioranza di governo; o con l’alta propensione all’astensione del movimento che aveva maggiormente appoggiato la democrazia diretta, da cui ci si poteva aspettare una forte spinta al voto (e che ha, invece, così contribuito alla crisi dei referendum).

Peraltro, se si passa ad esaminare i voti referendari, si può notare che vi è uno scarto di 20 punti tra i tre ultimi quesiti (separazione delle carriere, valutazione dei magistrati e candidature per il Consiglio superiore della magistratura), che hanno molto in comune con la riforma Cartabia e i primi due quesiti. Quindi, tra i votanti c’è un largo appoggio alle proposte del governo, quasi un invito del tipo: fate parte della maggioranza di governo, provvedete per la via legislativa. Questo messaggio è stato recepito dal Senato che ha sollecitamente approvato la riforma Cartabia. In questo senso, i risultati referendari non sono stati inutili, perché hanno avuto un seguito parlamentare.

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