Processo a Di Maio

Antonio Bravetti

La notte delle stelle cadenti. È iniziato il processo a Luigi Di Maio: ieri sera l’ex capo politico è ufficialmente finito sul banco degli imputati per le sue «accuse strumentali» al Movimento 5 stelle. La resa dei conti si consuma col buio, fin dopo la mezzanotte, in una riunione fiume del Consiglio nazionale del partito convocata da Giuseppe Conte. Il leader M5S esprime «forte rammarico» per le parole del ministro degli Esteri e ribadisce «i cittadini non vogliono vedere l’invio di altre armi all’Ucraina». Vuole schierare tutto il Movimento contro di lui, chiedendo un chiarimento pubblico di fronte agli iscritti, nessuno chiede la sua espulsione, ma «è un problema che va risolto», fanno sapere i fedelissimi di Conte. Quando ormai è notte e il Consiglio nazionale è ancora riunito, però, sono in tanti a protestare con il leader e i suoi vice per «la guerra comunicativa di questi giorni». Il partito che l’ex premier sognava muoversi granitico contro Di Maio, si rivela essere pieno di sfumature e di colombe che chiedono una tregua.

Quella di ieri, d’altronde, è stata una giornata di cannoneggiamenti, l’ennesima. Durissimi i vicepresidenti pentastellati. Per Michele Gubitosa «siamo a un punto di non ritorno». Riccardo Ricciardi sostiene che il ministro «da tempo è un corpo estraneo al Movimento». Quanto alla sua possibile espulsione, «vorrei ricordare che da capo politico Di Maio ha espulso persone per cose molto, molto meno gravi». La colpa di Di Maio, per Ricciardi, è di aver «detto che il M5S ha una posizione anti-atlantica o anti-europea. Non è così».

Stesso giudizio da Alessandra Todde, che ricorda che il M5S ha «una sola linea» e giudica così le critiche dell’inquilino della Farnesina: «Dichiarazioni forti, neanche supportate dai fatti, perseguendo obiettivi personali, delegittimando la forza politica che rappresenta». L’atteggiamento di Di Maio, all’interno del partito, non è piaciuto a nessuno, ma in molti durante la riunione chiedono di evitare una guerra fratricida. Gli stessi vertici M5S, nel pieno della riunione, percepiscono che se si continuerà su questa strada verranno messi nel mirino i vicepresidenti. Primo tra tutti, Ricciardi, che ha guidato l’assalto più violento.

Di Maio, da parte sua, non desiste. Risponde a metà giornata con una lunga nota. Si aspettava dai dirigenti pentastellati che facessero «autocritica» e invece, sottolinea, «decidono di fare due cose: attaccare, con odio e livore, il ministro degli Esteri e portare avanti posizioni che mettono in difficoltà il governo in sede Ue.

Un atteggiamento poco maturo che tende a creare tensioni e instabilità all’interno del governo. Un fatto molto grave». Per il titolare della Farnesina «l’Italia non può permettersi di prendere posizioni contrarie ai valori euro-atlantici. Valori di democrazia, di libertà, di rispetto della persona e di difesa degli Stati. In ballo c’è il futuro dell’Italia e dell’Europa». Con lui Francesco D’Uva, che accusa i vertici stellati di essere «di giorno atlantisti ed europeisti, di notte attenti accusatori pronti a puntare il dito contro Di Maio». Sergio Battelli, altro deputato di area, chiede conto di un «fuoco incrociato sui giornali con parole di una violenza e un odio senza precedenti».

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