Armi all’Ucraina, martedì il test per Draghi al Senato. Le condizioni del governo
Scompare dal testo della risoluzione del Movimento 5 Stelle il no alle armi a Kiev, si tratta su un maggior coinvolgimento del Parlamento. Le condizioni dell’esecutivo guidato da Draghi che non vuole sentirsi sotto tutela
L’onore delle armi si concede a un avversario che combatte strenuamente. Ma i 5 Stelle si presentano alla riunione di maggioranza con il sottosegretario agli Affari europei Enzo Amendola, che rappresenta Palazzo Chigi, avendo già issato bandiera bianca su due punti per loro fondamentali fino a qualche giorno fa: il no all’invio delle armi a Kiev e la richiesta di voto su una eventuale nuova spedizione di forniture militari in Ucraina.
Quindi il tema dell’incontro diventa un altro: come trovare un accordo tra tutti che salvi la faccia a Giuseppe Conte? I dem ci provano. Del resto, le richieste dei grillini nella riunione di Palazzo Cenci sono assai più modeste di quelle precedenti: «Noi vogliamo che prima degli snodi cruciali a livello internazionale il governo passi per il Parlamento». E tra gli «snodi», ovviamente, c’è l’invio delle armi in Ucraina.
Ma da Palazzo Chigi sono già arrivate due condizioni di cui Amendola si fa interprete: il governo «non può stare sotto tutela» e una risoluzione parlamentare non può smentire un decreto legge, quello, già votato da entrambe le Camere, con il sì del M5S, che autorizza eventuali nuovi invii di armi fino al 31 dicembre. In soldoni: se i 5 stelle ci tengono tanto a sottolineare nel documento della maggioranza il necessario coinvolgimento del Parlamento sulla questione delle attrezzature militari, bisogna richiamare anche quel decreto. I 5 Stelle non vorrebbero, Leu li segue, il Pd, con Alessandro Alfieri e Piero De Luca, propone due possibili mediazioni.
Si tenta quindi di introdurre un passaggio assai generico sul fatto che il governo «continuerà ad aggiornare il Parlamento». La capogruppo M5S al Senato Mariolina Castellone prima apre poi si inalbera: «Sono termini troppo generici, così non va bene». Amendola sfodera le sue doti diplomatiche per trovare la quadra: «Cerchiamo una soluzione che vada bene a tutti». Intanto a Palazzo Chigi il premier, dopo aver messo i suoi paletti, lima il discorso che terrà oggi al Senato. Parlerà della strategia per arrivare alla pace, ma nel quadro degli impegni assunti con la Ue.
E ieri una bozza delle conclusioni del Consiglio europeo rilanciata dalle agenzie di stampa recitava così: la Ue «rimane fortemente impegnata» a «fornire ulteriore sostegno militare» all’Ucraina. I grillini che hanno chiesto la «de-escalation» dell’impegno militare preferiscono fare finta di niente: già devono vedersela con il premier che ha fatto sapere che il coinvolgimento del Parlamento non può tramutarsi in «autorizzazioni preventive» al governo.
Se dem e Leu cercano una mediazione che salvi la faccia a Conte, le altre forze politiche appaiono meno generose. Iv, +Europa, FI e Lega non accettano le richieste del M5S e Matteo Salvini, per una volta almeno apparentemente coperto e allineato, critica i 5 Stelle: «Avere un ministro degli Esteri sconfessato dal suo partito con una guerra in corso non è il massimo». E poi, a mo’ di rivincita, osserva: «Il governo non rischia certamente per noi». In realtà il governo, almeno oggi, non rischia affatto. Certo, la riunione di maggioranza prosegue per ore e ore, ma non solo per le difficoltà di trovare una via d’uscita onorevole al M5S. L’idea è quella di tirarla avanti il più a lungo possibile, onde evitare che il testo esca troppo presto e che i grillini, divisi come sono, possano boicottarlo prima dell’arrivo in Aula. E comunque il M5S ha bisogno di dimostrare di essere riuscito a tenere in stallo il governo, visto che non ha ottenuto ciò che chiedeva. Infatti alle 21.30 si decide di aggiornare l’incontro alle 8.30 di stamattina.
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