Draghi va avanti sulle armi a Kiev e blinda Di Maio: i 5Stelle non otterranno il rimpasto

di Serenella Mattera e Matteo Pucciarelli

ROMA – Non sarà una partita tra correnti a cambiare il volto del governo. Lo ribadiscono con fermezza in queste ore ai vertici dell’esecutivo. Vale per l’aiuto a Kiev che, se così si deciderà con gli alleati, continuerà finché sarà necessario. E vale per il ruolo del ministro degli Esteri, messo in discussione da Giuseppe Conte. Il leader del Movimento per ora ha congelato il tema dell’espulsione di Luigi Di Maio dal partito e dalla squadra di Draghi, ma se scissione sarà (“Se lui andrà via”, dicono i fedelissimi) valuterà di chiederne la sostituzione. Sa già, perché il messaggio pare gli sia stato fatto pervenire per canali informali, che Mario Draghi di rimpasti non ha mai voluto sentir parlare. E soprattutto che, sottolineano qualificate fonti governative, non esiste l’ipotesi di cambiare il ministro degli Esteri in piena guerra. Anche perché, viene fatto notare, Di Maio “gode di ottima reputazione, sta facendo bene a livello internazionale e viene stimato dai colleghi di governo: che una dinamica tra correnti interrompa la continuità nella gestione della politica estera è fuori da ogni possibilità”.

A sera a Palazzo Chigi, nonostante il rinvio della riunione fiume sulla risoluzione di maggioranza, si mostrano fiduciosi che lo strappo in Aula sull’Ucraina non si consumerà. Nessuno, concordano ai vertici del Pd, può permettersi di rompere sulla politica estera mentre è in corso il conflitto: “Conte ne è consapevole, non ha intenzione di farlo”, assicura chi tiene i contatti con lui. Si vedrà, ribattono dal governo. Quel che è certo è che Draghi in Aula al Senato, alle 15, nel lungo e denso intervento su tutti i temi al centro del prossimo Consiglio europeo, dalla richiesta di un tetto al prezzo del gas a quella di nuovi aiuti europei anti-inflazione, fino alla risposta da dare all’aggressione di Mosca a Kiev, ribadirà la linea.

L’Italia ha promosso da subito con forza, rivendicherà, l’adesione dell’Ucraina all’Ue. Si muove e continuerà a muoversi, in sintonia con gli alleati dell’Ue e della Nato, per sostenere lo sforzo di difesa ucraino, perché solo così si possono creare le condizioni della de-escalation, solo così si può indurre Vladimir Putin a sedersi a un tavolo di trattativa. Ma la difesa non sarà il cuore del discorso del premier, che potrebbe non citare affatto l’invio di armi. Perché ora ogni sforzo è per provare ad aprire il varco a una tregua e quindi a una trattativa.

Draghi racconterà quanto fatto finora, riferirà della visita a Kiev con Emmanuel Macron e Olaf Scholz, e indicherà un percorso che passa dai vertici di Ue, G7, Nato e dal bilaterale in Turchia, per sbloccare in fretta almeno la partita del grano, con mediazione dell’Onu. La linea, assicura chi è vicino al premier, emergerà con chiarezza. Il governo si muove nel solco del Parlamento, ne vuole l’unità. E Draghi, come sempre, ascolterà ogni intervento per poi replicare. Nella speranza che intanto i pontieri abbiano ‘sminato’ il campo dal tentativo del M5s contiano di “commissariare” l’azione del governo. E nell’auspicio che il voto non fotografi una maggioranza divisa, indebolendo il governo.


Certo, riconosce più di un ministro, anche se oggi non si consumerà lo strappo, i prossimi mesi si annunciano assai difficili. Draghi è stato chiaro: si va avanti finché ci sono le condizioni per agire, dalle riforme al Pnrr. E Di Maio ai colleghi avrebbe assicurato che da qui in poi si batterà su ogni singolo dossier per evitare che il M5s saboti l’esecutivo. Ma non conviene neanche a Conte, ragiona un esponente di governo ‘draghiano’, in un momento di crisi “attentare alla stabilità del governo: sarebbe autolesionista, la stagione del populismo è finita”.

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