Lo Zeus dell’Eliseo caduto dall’Olimpo
Michela Marzano
Questa volta Zeus non ce l’ha fatta, ed è lui a precipitare dall’Olimpo portandosi dietro le macerie di una “macronie” ormai asfittica. Nonostante la recente vittoria contro Marine Le Pen, è l’attuale Presidente della Repubblica, Emmanuel Macron, il grande sconfitto delle elezioni politiche di domenica scorsa in Francia. È contro di lui che si sono pronunciati gli elettori e le elettrici: contro la sua arroganza e il suo modo sprezzante di porsi; contro la sua assenza di empatia e la sua incapacità di ascoltare. È la fine di un’avventura iniziata nel 2017, quella di un iper-presidente che, per cinque anni, si è divertito ad aggirare i corpi intermedi, a svilire i partiti tradizionali, e a trattare con disinvoltura l’insieme dei francesi. Emmanuel Macron, queste elezioni, le ha prese decisamente sottogamba. Convinto che, alla fine, la gente gli avrebbe permesso di ottenere la maggioranza assoluta all’Assemblée Nationale, esattamente com’era accaduto nel 2017, non ha praticamente fatto campagna elettorale. Nessun programma, nessuna idea, niente di niente, a parte il refrain: “moi ou le caos”. Perché i francesi avrebbero dovuto votare per il suo partito?
Nel 2017, La République en Marche era una novità: il frutto del tentativo di uscire dalla contrapposizione tra destra e sinistra, ma anche la conseguenza della delusione di tanti elettori di fronte alle promesse tradite prima da Nicolas Sarkozy, poi anche, e forse soprattutto, dal socialista François Hollande. Dopo cinque anni di potere incontrastato, di riforme imposte e di supponenza, però, il popolo francese si è ribellato, trasformando le elezioni di domenica scorsa in un vero e proprio referendum contro l’attuale Presidente. Peccato che, ad approfittare della sconfitta dei macroniani, non sia stata la NUPES, la nuova unione popolare ecologica e sociale, nonostante per la prima volta dopo decenni la sinistra francese si sia presentata unita alle elezioni. Checché ne dica Jean-Luc Mélenchon, infatti, i risultati sono deludenti, e c’è già chi, all’interno di questo campo largo alla francese, non vede l’ora di lasciare l’unione, ritrovandosi all’interno della propria cerchia: socialisti, verdi e comunisti si oppongono già alla proposta del leader della France Insoumise di formare un unico gruppo parlamentare, lasciando a Marine Le Pen il ruolo di Presidente del maggior partito di opposizione. La vera vincitrice di queste elezioni, d’altronde, è proprio lei, Marine. Che trionfa osservando la cartina della Francia colorata di blu, e che si gode la rivincita non solo nei confronti di Macron, ma anche di suo padre, che non era mai stato capace di portare all’Assemblée Nationale più di due o tre deputati.
“Situation inédite”, “caos à l’italienne”, “quinquennat ingouvernable”: sono queste le parole sulle bocche di tutti gli opinionisti e gli editorialisti francesi. Il sistema semipresidenziale voluto dal Général De Gaulle nel 1958 ha disabituato la Francia ai dibattiti parlamentari, concedendo alle opposizioni un semplice ruolo di comparsa. E anche se l’Assemblea Nazionale non è chiamata a votare la fiducia al Governo, un Parlamento multicolore rischia di portare a una situazione di stallo. È la prima volta che il sistema maggioritario voluto da De Gaulle crolla sotto il peso della sofferenza sociale e identitaria dei francesi. È la prima volta che un Presidente si trova a dover comporre con forze molteplici e contrapposte. È la prima volta, dopo la breve parentesi di Rocard, che il futuro capo del Governo dovrà scendere a compromessi, cercare i voti in Aula, fare concessioni e provare ad andare avanti per tentativi ed errori.
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