Democrazia e politica: esiti imprevisti della guerra
Non sappiamo come e quando finirà la guerra. I suoi esiti incideranno non solo, come è ovvio, sugli equilibri internazionali ma anche — il che è meno ovvio — sugli equilibri interni delle democrazie europee. L’Italia è, insieme alla Francia (che però dispone di più solide istituzioni), la più esposta. Per la presenza, numerosa e rumorosa, dei nemici di quello che essi considerano l’impero del Male (gli Stati Uniti). Se una democrazia non è una grande potenza, se non può plasmare il contesto internazionale, allora è quel contesto a condizionare i suoi equilibri interni.
Ad esempio, dopo la Seconda guerra mondiale gli Stati Uniti forgiarono , alla luce dei propri valori e interessi, in competizione con l’Unione Sovietica, l’ordine internazionale. Le democrazie europee vi si adattarono ottenendo stabilità, sicurezza e benessere. È possibile che la guerra in Ucraina duri a lungo. Ma un giorno le armi, almeno per un po’, taceranno. E si farà un primo bilancio. Ci sono tre possibilità. La prima è che l’Ucraina, anche senza recuperare tutti i territori che la Russia ha conquistato, risulti vincitrice. Per essere ancora uno Stato sovrano che ha resistito con successo al piano di Putin di cancellarla dalla carta geografica. Per avere avuto la capacità di sconfiggere il progetto neo-imperiale russo. La seconda possibilità è che l’Ucraina, pur esistendo ancora, almeno nominalmente, sia ridotta al lumicino,magari senza più accesso al mare, destinata solo a sopravvivere grazie ad aiuti occidentali. La Russia sarebbe riconosciuta vincitrice. Moldavia, Polonia e baltici avrebbero ragione di tremare.
La terza possibilità è uno stallo, una condizione senza chiari vincitori . Ne deriverebbe una tregua destinata, prima o poi, ad essere infranta. La nomenklatura russa non potrebbe tollerare per troppo tempo di non essere, inequivocabilmente, la vincitrice. Perché mai il gigante dovrebbe sopportare l’idea di non essere riuscito a ridurre in poltiglia coloro che considera insignificanti insetti?
Consideriamo le prime due possibilità e i riflessi sull’Italia. Una vittoria ucraina rafforzerebbe le posizioni politiche degli atlantisti. Una vittoria russa le indebolirebbe gravemente. Non tutti coloro che sperano in una sconfitta ucraina sono necessariamente putiniani. Ma tutti sono anti-americani. Pensano che una vittoria ucraina sarebbe una vittoria della Nato e degli Stati Uniti. Sognano un’Europa che, cacciati gli americani, si accordi con la Russia. È un gruppo variegato composto da pacifisti più o meno immaginari, putiniani, settori del mondo cattolico e altri ancora. L’avversione alla Nato è il fattore unificante.
Se vincerà l’Ucraina, gli atlantisti, Partito democratico, Fratelli d’Italia e forse anche — se emergerà — una formazione di centro, si rafforzeranno. Se vincerà la Russia saranno gli anti-atlantisti a rafforzarsi. Anche dentro il Pd e FdI. Forse gli stessi leader di quei partiti verranno contestati per la loro scelta atlantica dai rispettivi oppositori interni. Nel medio-lungo termine, l’assetto europeo che scaturirebbe da una vittoria dell’uno o dell’altro dei belligeranti inciderebbe sugli equilibri politici italiani.
Nelle divisioni sulla guerra si scorgono in controluce aspirazioni differenti sul futuro della democrazia. È vero che entrambi i fronti, atlantista e anti-atlantista, sono divisi al loro interno. Ma, paradossalmente, il fronte anti-atlantista è il più internamente coerente. Fra coloro che qui da noi puntano su un indebolimento del ruolo degli Stati Uniti in Europa — al pari di Mélenchon e di Le Pen in Francia — sono diffuse le preferenze per una società chiusa, fortemente controllata dallo Stato,scarseggiano gli amici della società aperta (all’iniziativa dei singoli) in quanto tale più compatibile con i caratteri fino ad oggi dominanti nella comunità euro-atlantica. Una società chiusa, anche se formalmente ancora democratica, non avrebbe difficoltà ad intendersi con la Russia di Putin.
Nel fronte atlantico c’è più eterogeneità. Vedremo se la combinazione di scelta atlantica e di successo elettorale nel Nord Italia spingerà FdI ad abbandonare la predilezione del passato per certi ideali statalistico-corporativi poco compatibili con le esigenze di una società libera e aperta. E vedremo se il neo-atlantismo del Pd contribuirà a ridurre lo spazio, dentro e nei dintorni del partito (vedi la Cgil), di posizioni anch’esse poco compatibili con quelle esigenze. Ma ciò precisato, non sembra implausibile che la politica italiana sia spinta in una direzione o nell’altra a seconda dell’esito della guerra.
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