Democrazia e politica: esiti imprevisti della guerra

C’è poi la terza possibilità:la guerra continua a lungo ed è seguita da uno stallo e dalla impossibilità di identificare un chiaro vincitore. In tal caso, il confronto fra atlantisti e anti-atlantisti di casa nostra non si fermerebbe.L’incertezza della situazione internazionale si riverberebbe su di noi accrescendo l’incertezza sul futuro della nostra democrazia.

Se fossero solo le «buone idee» e non anche le «buone armi» a fare vincere le guerre, e se fossero solo le buone idee a spostare in un senso o nell’altro gli equilibri all’interno di una democrazia, bisognerebbe dire che chi preferisce la società aperta, e quindi l’alleanza occidentale, è in vantaggio perché dispone di idee migliori. Gli antiamericani si appellano alla Storia (con la maiuscola) per spiegare all’opinione pubblica il perché della «complessità» della situazione ucraina e perché una secca sconfitta russa non sarebbe auspicabile. Parlano della storia nello stesso modo in cui ne parla Putin, come di una cappa, inesorabile e immutabile. Ma la storia così intesa non esiste. Esistono invece i processi storici, intessuti di continuità e di discontinuità. Quella ucraina non è una guerra civile. Perché gli ucraini esistono, sono una nazione indipendente e vogliono restarlo. Poiché le nazioni si formano sempre contro un nemico, Putin è riuscito a irrobustire il senso di identità nazionale ucraino, si è auto-sconfitto, ha contribuito, dal 2014 ad oggi, a falsificare la propria stessa idea secondo cui «l’Ucraina non esiste».

Per dire che ci sono buoni argomenti per confutare le tesi dei nostrani nemici dell’alleanza occidentale sull’Ucraina. E per dire che, per le stesse ragioni, c’è anche qualche motivo di ottimismo sulla guerra. Le armi russe difficilmente riusciranno a distruggere un’ identità collettiva che il sangue e i lutti hanno così potentemente rafforzato.

CORRIERE.IT

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