Putin manda a morire le minoranze etniche. Chi sono i Buriati, i Kazaki, i Tuvani

di Federico Fubini

Putin evita di arruolare i giovani delle grandi città perché teme le proteste delle famiglie. La ricercatrice Maria Vyushkova: «Chi si accorge di queste minoranze?»

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Un gruppo di soldati buriati dell’Armata rossa in Ucraina prega sotto la guida di un monaco buddista

Vladimir Putin paragona sé stesso a Pietro il Grande e dall’inizio la guerra è stata concepita dentro il Cremlino da una ristretta cerchia di uomini bianchi, in età avanzata, legati al sogno di un grande impero slavo che riconquisti le sue antiche regioni europee. Ma il tributo di sangue lo stanno pagando, fuori da ogni proporzione, giovani uomini dall’aspetto completamente diverso: occhi a mandorla, alti zigomi mongoli o carnagioni olivastre del Caucaso.

Province sperdute

Spesso sono musulmani dell’Ossezia del Nord o del Daghestan o buddisti tibetani della Buriazia o della Repubblica di Tuva, alle frontiere della Mongolia. Oppure vengono da qualche provincia sperduta dell’Estremo Oriente non lontana dai confini con la Cina e con la Corea del Nord, come la Provincia ebraica autonoma dove Stalin aveva cercato di deportare un’intera minoranza scomoda. In nome del sogno imperiale di Putin — numeri alla mano — questi giovani delle terre più lontane hanno una probabilità di morire in Ucraina centinaia di volte più alta dei coetanei di Mosca o di San Pietroburgo. La testarda ricerca e l’analisi dei dati dicono che loro per primi sono stati gettati nella fornace della guerra nelle settimane più cruente. I buriati per esempio sono appena lo 0,3% della popolazione, ma erano il 4,5% dei morti nelle prime tre settimane di guerra.

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«Otto morti a Mosca»

La quota di kazaki etnici travolti nella macina della guerra è sette volte superiore al loro peso nella popolazione russa. È gente come loro e delle altre minoranze a trovarsi esposta molto più dei russi slavi, bianchi e originari delle grandi città europee. Di Mosca da oggi si conoscono appena otto morti in guerra, in una popolazione di venti milioni nell’area metropolitana. Di Tuva si conoscono con certezza sei volte più morti, malgrado una popolazione oltre sessanta volte più piccola: la probabilità di morire è centinaia di volte superiore, se si è è fra quelli venuti dalla parte sbagliata della Russia. Spinti contro il fuoco nemico tanto quanto questi russi asiatici o caucasici finora sono stati solo gli ucraini dei territori occupati, arruolati a forza a fianco dell’esercito di Mosca: coscritti con minacce e violenza nelle «repubbliche indipendenti» di Donetsk e Lugansk o mandati a morire sotto il fuoco ucraino da Sebastopoli che solo pochi anni fa è stata sottratta da Putin al controllo di Kiev. Esiste in Russia una rete clandestina che tiene ogni giorno la contabilità dei caduti, perché anche questo è un atto di resistenza civile sotto un regime che mente: il governo di Mosca aveva parlato di 1.351 caduti il 25 marzo e poi da allora più nulla, al punto che il presidente della commissione Difesa della Duma Andrei Kartapolov si è spinto a dire questo mese che sui morti in Ucraina regna il silenzio «perché non ce ne sono più».

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