La Nato sul fronte africano
La Nato è stata creata per fare la guardia alla cortina di ferro che separava l’Europa dalle mire di Stalin ed eredi. Adesso le frontiere da difendere arma al piede si estenderanno fino a Timbuctù. Siamo sicuri che sia così necessario queste neo colonialismo da Seconda guerra fredda? Chi stabilisce chi sono amici e nemici? I generali del comando Nato? E sulla base di quale criterio? Non sono certo tipi che spezzano un capello in quattro, questi guerrieri di professione. L’Unione Europea ha regole legate ai criteri delle democrazie liberali. Dalla Nato pomposamente travestita da alleanza del mondo libero in tempi maccartisti, hanno fatto parte regimi impresentabili. E anche oggi al venticello di Bruxelles sventolano allegramente bandiere come quella turca.
Gli alleati che andiamo a difendere nel Sahel sono dittatori con le galere e le tasche piene. Chi decide se vale la pena di dar loro una mano in nome della sicurezza atlantica? I generali? Gli americani hanno un concetto molto disinvolto e di breve durata sull’utilità degli degli «indigeni». Siamo sicuri che corrisponda al nostro?
Il fronte Sud è indicato come vitale a causa della sfida terroristica, dell’espansionismo russo, della crisi umanitaria (traduzione: i migranti che dispettosamente continuano a marciare e navigare verso il Nord del mondo), il pericolo per le riserve energetiche. Il «deficitario standard democratico dei Paesi dell’area» sembra aggiunto con un tocco involontariamente ironico visto che ne siamo l’origine e i clienti.
Da pochi giorni i soldati francesi hanno lasciato ad esempio la grande base di Menaka, in Mali. Immediatamente li hanno sostituiti con il consenso della giunta che controlla il paese dopo un golpe antifrancese i russi della Wagner, l’esercito africano di Putin. La riconquisteranno con le bandiere della Nato? Nel Sahel flagellato dalla fame dalla fanatismo e dal dispotismo corruzione e miseria sono i veri nemici da combattere. I soldati della Nato sono l’arma più adatta?
LA STAMPA
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