Palazzo Chigi e Colle, la road map anti-crisi: i piani per il Draghi bis. E via Visco e Savona

MASSIMO GIANNINI

Due immagini ci resteranno impresse, in questa settimana dei giganti della Terra che l’Italia ha vissuto di nuovo da Strapaese minore, piccolo e reietto. Una è nota, ed è assolutamente iconica: Mario Draghi, seduto da solo su una panchina del Prado, che parla al telefonino mentre dietro di lui tutti gli altri capi di Stato si accalcano estasiati di fronte ai capolavori di uno dei più bei musei del mondo. L’altra non è nota, ma è altrettanto simbolica: Draghi, sempre seduto ma stavolta al tavolo circolare del vertice Nato, che non parla ma legge qualcosa sul solito telefonino, e immediatamente si volta alle sue spalle, dove siedono Di Maio e Guerini, per sussurrargli qualcosa. Nel primo caso, lui stesso ha spiegato che non si ricorda con chi stesse parlando (i meme sui social hanno ironizzato e ipotizzato fosse la moglie Serenella, che gli avrebbe detto «Sbrigati a tornare a casa, qui i ragazzi stanno facendo un casino…»). Nel secondo caso, le “voci di dentro” dei palazzi romani raccontano che il premier, stupito e interdetto, abbia chiesto ai suoi ministri: «Scusate, chi diavolo è questo De Masi?». Piccoli episodi, che descrivono la Grande Babele italiana. C’è la guerra in Ucraina che durerà anni e il nemico Putin alle porte d’Europa. C’è la pandemia che torna cattiva con Omicron e dimostra che Omega è lontana. C’è l’inflazione che morde come 36 anni fa. C’è il lavoro che cala a 22,9 milioni di occupati e il precariato che esplode a 3,1 milioni di contratti a termine. C’è poca energia (perché lo Zar di Mosca chiude i gasdotti) e pochissima acqua (perché la siccità prosciuga i rubinetti). Mentre il pianeta cammina mano nella mano con l’Apocalisse, i destini della nazione sembrano appesi all’amletico dilemma dell’Avvocato senza più Popolo.

Giuseppe Conte uscirà dalla maggioranza oppure no? Il governo cadrà oppure reggerà fino alla fine della legislatura? E dopo, quando avremo votato nel 2023, chi guiderà questo sciagurato Paese? Rebus, più che domande. Eppure, anche nella «evaporazione della politica» di cui scrive Massimo Recalcati bisogna cercare un punto fermo, una rotta, un orizzonte per l’Italia di domani. Proviamo a farlo, mettendo in fila conversazioni e indiscrezioni raccolte in queste ore tra vari protagonisti della scena pubblica tricolore.

E il premier chiese: «Chi diavolo è questo De Masi?»
Riavvolgiamo il nastro, e torniamo a quel vertice Nato in cui Draghi si lascia sfuggire la battuta. Il professor Domenico De Masi, il giorno prima, fa una rivelazione a Un giorno da pecora: Grillo ha riferito ad alcuni parlamentari che Draghi gli avrebbe chiesto di scaricare Conte. Il giorno dopo La Stampa lancia la stessa notizia in un articolo di Federico Capurso, che ha raccolto l’indiscrezione da una fonte diretta e tra le più qualificate del Movimento. Il premier non si aspettava questa sortita. Tarda troppo a reagire. Con i cronisti minimizza: da ex banchiere centrale, abituato alle severe liturgie francofortesi, è poco incline alle lotte nel fango che la politichetta italica da sempre contempla ed impone. Solo a tarda sera arriva la smentita della sua portavoce Paola Ansuini. Ma a quel punto la frittata è già fatta.

Ora, gli interrogativi che circolano nelle stanze del potere sono almeno tre. Il primo: Draghi ha davvero chiesto a Grillo di liberarsi di Conte? La risposta prevalente, nonostante le smentite ufficiali, pare affermativa. E se non è vero che quelle cose le ha scritte (in genere sul telefonino manda giusto gli auguri di Natale) è verosimile che le abbia dette (l’ultima telefonata tra i due, dicono i ben informati, risale a una decina di giorni fa). Nell’incontro di domani a Palazzo Chigi il presidente del Consiglio proverà a chiudere l’incidente, ripetendo di non aver mai detto nulla del genere all’Elevato (che a sua volta all’Adnkronos ha liquidato il fatto parlando di «cazzate») e insistendo sul fatto che di sms o whatsapp nessuno ne ha esibiti né potrà mai farlo. Conte non gli crederà. Di più: secondo molti suoi alleati ed amici, interni ed esterni, Giuseppi è sicuro che il premier sia stato addirittura il vero “regista occulto” della scissione di Luigi Di Maio, considerato uno dei cardini intorno al quale far girare nei prossimi mesi il famoso “partito draghiano senza Draghi”, aggregando i governisti della Lega Giorgetti, Fedriga e Zaia, i ministri dissidenti di Forza Italia Brunetta, Gelmini e Carfagna, i sindaci indipendenti Sala, Gori e Brugnaro, i centristi rissosi Calenda, Renzi e Tabacci

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