Se a Meloni non basta prendere più voti
Giovanni Orsina
L’insofferenza di una parte consistente dell’opinione pubblica per i vincoli che i processi d’integrazione sovranazionale impongono alla sovranità democratica è forse la radice prima di quei fenomeni che siamo soliti indicare con l’etichetta onnicomprensiva lorda di «populismo». Poiché l’Italia, a motivo delle sue fragilità storiche, è particolarmente esposta ai venti globali, da noi la tensione fra l’esterno (i vincoli sovranazionali) e l’interno (l’opinione pubblica) è più forte che altrove. Non per caso, negli ultimi quattro anni la Penisola ha vissuto l’unicum assoluto di una legislatura che, apertasi con la massima espressione della ribellione sovranista degli elettori, il governo gialloverde, va ora a chiudersi con la quintessenza dell’adesione al contesto europeo, il gabinetto Draghi.
Man mano che cresce nei sondaggi, Giorgia Meloni tende sempre più a trasformarsi, almeno in potenza, nel punto di massima tensione fra l’interno e l’esterno. Fratelli d’Italia sta diventando il maggior terminale politico di quella parte dell’opinione pubblica che, più o meno confusamente, reclama che la sovranità sia almeno in parte riportata entro i confini nazionali. In questa veste, alle prossime elezioni potrebbe (il condizionale è ovviamente d’obbligo) dimostrarsi il primo partito della coalizione vincente e guadagnarsi quindi la possibilità di svolgere un ruolo di governo. Se quest’eventualità si verificasse, d’altra parte, e se in quel momento l’immagine di Fratelli d’Italia non si fosse modificata rispetto a quel che è adesso, con ogni probabilità si porrebbe il problema della sua compatibilità con l’assetto europeo. E la tensione fra l’interno e l’esterno si ripresenterebbe con forza.
Si potrebbe ragionare a lungo, naturalmente, dello stato di salute di una democrazia così pesantemente condizionata da quel che si pensa, dice e fa al di fuori dei suoi confini. E si potrebbe ragionare a lungo pure della strumentalità dei processi di delegittimazione, che non sono certo promossi da soggetti olimpici e neutrali, ma da parti in causa intente a perseguire obiettivi politici ben precisi. Non sono solo i cosiddetti populisti che sfruttano la paura, come spesso si dice – sono anche gli anti-populisti, che ingigantiscono il pericolo populista al fine, molto semplicemente, di conservarsi al potere.
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