Orlando: “Stop ai contratti del lavoro povero. Il taglio del cuneo da solo non basta”
Su salari e mercato del lavoro si è accesa una discussione tanto legittima quanto confusa: condivide o invece siamo sulla strada giusta?
«A me colpisce il fatto che su questi temi, sui quali nei vari Paesi europei si sono date risposte molto diverse a seconda delle tradizioni sociali e sindacali, da noi si sia aperta una discussione a botte di slogan e questo tipo di approccio rischia di produrre ulteriori danni».
Sul salario minimo si è accesa di nuovo la discussione: lei ha una proposta per trovare una soluzione capace di mettere d’accordo parti politiche sociali?
«Diciamo anzitutto che in questo Paese esistono tre problemi importanti e diversi: il livello dei salari; il lavoro povero; il rinnovo dei contatti. Sono tre problemi che vanno tenuti assieme. I salari si sostengono con la riduzione del cuneo fiscale, una misura che risolve il problema in parte, perché ora c’è anche un problema di adeguamento, evitando cioè che la riduzione fiscale sia rapidamente “mangiata” dall’inflazione. Ma la riduzione del cuneo non risolve la questione del lavoro povero, perché se uno guadagna 650 euro al mese, anche se gli tagli il cuneo, non se ne accorge quasi. E comunque il lavoro povero è generato da cattivi contratti».
Come si fa a tenere assieme, nella soluzione, tre problemi così diversi?
«Chi dice di voler risolvere uno solo dei tre problemi, in realtà non vuole farsi carico di un problema salariale che è diventato esplosivo dopo la ripresa dell’inflazione. In attesa che dentro la maggioranza e tra le parti sociali si risolva il nodo salario minimo sì o no, ho fatto questa proposta: facciamo derivare il salario minimo, comparto per comparto, dai contratti comparativamente maggiormente rappresentativi e nella fattispecie del trattamento economico complessivo, cioè il salario più le quote accessorie, come ferie, festività. Questa soluzione ha un vantaggio: de-ideologizza il confronto, perché non è salario minimo contro contratto, ma fa derivare il salario minimo proprio dal contratto. E in questo modo si tiene assieme tutto il fronte sindacale e diventa difficile non riconoscere che si tratta di una soluzione che valorizza al meglio la contrattazione».
Un buon compromesso, o sarà difficile mettere assieme tutte le parti?
«È un compromesso che può partire dalla definizione giurisprudenziale dei contratti “comparativamente maggiormente rappresentativi”. E in alcuni settori produttivi, forse, questo non basterà ancora ad avere buoni salari. Non è la panacea, ma in tanti settori metteremmo fuori gioco i cosiddetti contratti pirata e nell’immediato centinaia di migliaia di lavoratori potrebbero uscire da una condizione di lavoro povero. Sarebbe un segnale molto forte».
Segnali in codice e formali da parte delle forze sociali?
«Abbiamo avuto un’apertura da parte del mondo sindacale e di una parte della destra, almeno sul metodo. Alcune parti datoriali hanno fatto sapere di una disponibilità. Potremmo giungere ad una tregua che non pregiudichi una soluzione futura più strutturata. Altrimenti si arriverà al redde rationem: salario minimo legale sì o no? Ma credo che l’attesa si spieghi anche perché tutte le parti vogliono capire cosa si farà sul cuneo fiscale. Che non deve diventare l’alibi per rinviare ulteriormente i rinnovi contrattuali. Ognuno deve fare la sua parte».
LA STAMPA
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