L’Ucraina come la Serbia nel 1914: l’estate fa dimenticare la guerra
Il meccanismo della angoscia collettiva avrebbe funzionato se non fosse stato contrastato da una operazione politico pedagogica di evidente successo, al di là della finalità operativa immediata che era impedire che l’Ucraina venisse spazzata via dall’attacco russo. A coinvolgerci psicologicamente ha provato giustamente l’Ucraina con una sacralizzazione della sua guerra di resistenza, in cui alla gloria di difensori di tutto l’Occidente si aggiungeva il martirio delle vittime civili della ferocia russa. Una ipertrofica produzione iconografica e verbale sulla ferocia della guerra è stata messa al servizio di una giusta causa con la legittima superiorità psichica della vittima.
Kiev ha aggiunto il pantheon presidiato da Zelensky a riassumere in lui il coraggio e la determinazione di un popolo intero. Operazione non priva di successo di immagine. La maglietta militare del presidente ucraino svolgerà, prima o poi, la stessa funzione di marketing più o meno sacrale del basco di Che Guevara. Lo scopo era di costruire un ponte verso l’azione, la nostra, spinti così a prender parte direttamente alla causa della difesa d’Europa, a presidiare le Termopili ucraine. Condizione necessaria per la vittoria.
Biden e i governanti europei hanno accettato il meccanismo del progressivo coinvolgimento operativo, con armi e denaro, in attesa di passare ad altro, ovvero scambiare qualche colpo di cannone con la Russia. Politici, parolai della guerra e camarilla del business militar affaristico cercano per benino di trasformare questo conflitto in una istituzione europea. In fondo l’imperialismo sciovinistico di Putin serve perfettamente ai loro scopi di controllo di sistemi di alleanza e di ordine geopolitico. Ma sanno che altrettanto necessario è impedire che dei rischi collettivi che si corrono si accorgano le opinioni pubbliche, che vibri forte la volontà di vivere perché si tratta della esistenza, della sopravvivenza. Di qui una narrazione della guerra, quella che c’è già si combatte ogni giorno da più di quattro mesi, in cui si ribadisce il comandamento rassicurante che l’unico ruolo che noi come Occidente accettiamo di svolgere è quello di impedire che vengano superati dall’aggressore certi limiti. Bisogna far vedere la guerra, mostrarne l’orrore ma contemporaneamente cancellarne la tracce. Di qui la goffa, strumentale sottovalutazione irridente delle forza distruttiva dell’esercito russo, e la fiducia fideistica al di la della evidenza delle possibilità fulminanti delle sanzioni economiche. L’opinione pubblica deve accontentarsi della constatazione che «siamo dalla parte giusta», non avere timori sugli «sviluppi». Insomma come nel 1914: restate pure in vacanza, alla guerra ci pensiamo noi.
LA STAMPA
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