Marmolada, prevedere le valanghe? “Ecco come stanno le cose”
Attualmente non ci sono conoscenze abbastanza dettagliate per poter prevedere esattamente quando e dove tremerà la Terra. E nemmeno il distacco di un saracco, ovvero un ghiacciaio a forma di torre che deriva dall’apertura di crepacci. Ma c’è un indiziato, secondo il pensiero comune: il cambiamento climatico. Eppure Emanuele Forte, professore di geofisica applicata all’Università di Trieste, interpellato dall’Adnkronos su quanto è accaduto domenica sulla Marmolada, preferisce invitare alla cautela, quando si dibatte di questo tipo di eventi tragici della natura.
TEMPERATURE ESTREME – «Si sta semplificando molto, il caldo, le temperature estreme. In realtà è un quadro molto più complesso.
C’è tutta una serie di fattori che fa sì che un ghiacciaio fonda di più o di meno. È chiaro che tutti i ghiacciai alpini sono in fase di ritiro per le condizioni climatiche attuali» ma «si tratta di fenomeni locali, come per i terremoti. Si può studiare il territorio, per sapere molte cose ma arrivare a previsioni è impossibile, allo stato attuale delle conoscenze», ha detto il professore. Dunque, secondo l’esperto, non è nemmeno possibile stabilire norme che regolino l’accesso ai ghiacciai.
«Quello della Marmolada è un episodio che fa notizia, ma si tratta di ghiacciai che d’estate attirano turisti, quindi sono una risorsa, non sarebbe scientificamente corretto dare regole o divieti sull’accesso», ha avvertito l’esperto.
Emanuele Forte, ricercatore presso il Dipartimento di Matematica e Geoscienze dell’Università di Trieste, è impegnato in attività di ricerca nel settore del trattamento e dell’interpretazione dati geofisici a diversa scala. In questo ambito ha sviluppato metodi innovativi per l’elaborazione di dati GPR a copertura singola e multipla. Ha sperimentato metodologie di integrazione di dati in particolare sismici, magnetici e geoelettrici per studi ad alta risoluzione con applicazioni nei settori della geologia applicata e strutturale, della glaciologia, dell’archeologia, dell’ambiente (inquinamento da contaminanti liquidi, discariche), dell’ingegneria.
Il professor Forte anni fa ha partecipato a una ricerca del Crr sui tempi di fusione del ghiacciaio. Uno studio, ha spiegato, «condotto con uno strumento che si chiama georadar, che permette di valutare lo spessore del ghiaccio. È stato ripetuto a distanza di dieci anni e si è visto che già in quel lasso di tempo il ghiacciaio si era fuso molto, e quindi facendo una previsione, mantenendo costanti le variabili climatiche, si arrivava a dire che entro 50 anni ci sarebbe stata la completa fusione».
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