Le democrazie sembrano nel caos: ma allora vince Putin?
Federico Rampini
In apparenza hanno ragione Vladimir Putin e Xi Jinping: l’Occidente sembra allo sbando.
In America Joe Biden
viene disertato anche dai suoi. Uno dei tanti segnali: cominciano a
fiorire le potenziali candidature all’elezione presidenziale del 2024
anche tra i democratici, per esempio il governatore della California Gavin Newsom ha
cominciato a comprare spazio pubblicitario in Florida per attaccare il
repubblicano che governa quello Stato (Ron DeSantis), una schermaglia
fra due aspiranti alla Casa Bianca. Una maggioranza di democratici spera che Biden rinunci a ricandidarsi.
Il leader della più antica liberaldemocrazia è logorato per mille
ragioni, tra queste la guerra sistematica che lo oppone alla Corte
suprema (aborto, armi, ambiente). Mancano quattro mesi alle elezioni
legislative di metà mandato eppure ogni tanto si ha la sensazione che i
repubblicani abbiano già riconquistato la maggioranza, tale è lo spettacolo d’impotenza di questa Amministrazione.
Nel Regno Unito la fine di Boris Johnson significa l’uscita di scena di un leader che – pur fra mille errori e scandali – era un sostenitore determinato dell’Ucraina.
A Parigi Emmanuel Macron dopo l’insuccesso del suo partito ha dovuto formare un governo che non ha la maggioranza parlamentare.
La Germania naviga a vista con un cancelliere che sembra «missing in action». Sulla scena internazionale il peso di Olaf Scholz è evanescente, e una Germania debole non può che ridurre l’influenza dell’Unione europea.
Come se non bastasse tutto questo, nel tranquillo Giappone viene assassinato l’ex premier Shinzo Abe.
L’evento sarebbe traumatizzante ovunque, lo è a maggior ragione in un
Paese dove circolano pochissime armi e la violenza – politica o
delinquenziale – è tra le più basse del mondo.
Senza soffermarsi
sulle tensioni che la maggioranza di governo sta scaricando su Mario
Draghi, il quadro pare sconfortante per il campo democratico,
rassicurante per gli autocrati.
Tutto ciò che sta accadendo sembra confermare la precaria salute delle liberaldemocrazie.
Ma una consolazione può venire dai paragoni storici.
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