Gb, il dopo Johnson si gioca tutto sulla Brexit
Alessandra Rizzo
LONDRA. Chiunque entri a Downing Street dopo Boris Johnson avrà il difficile compito di cercare di risolvere la questione del protocollo nordirlandese, e in generale di riparare relazioni con Bruxelles avvelenate da anni di negoziati duri e a tratti tesi in seguito alla Brexit. Molto dipenderà da chi la spunterà nella gara alla guida del Partito Conservatore, ma le dimissioni di Johnson offrono un’opportunità per un rilancio. Sul piano interno, si troverà alle prese con l’inflazione più alta da quarant’anni.
Johnson è stato il politico più fortemente associato alla Brexit, prima perché ha offerto il suo sostegno alla causa del divorzio, decisione cruciale per l’esito del referendum del 2016; poi perchè ha negoziato una “hard Brexit”, cioè un taglio netto con l’Ue e l’abbandono di unione doganale e mercato comune. La sua uscita di scena certamente consente al Paese di voltare pagina. Per lo storico Timothy Garton Ash le relazioni di Londra con l’Europa hanno un disperato bisogno di un “reset”. «Il fatto che il Partito Conservatore si sia liberato di un Boris Johnson caduto in disgrazia è un primo passo essenziale», ha scritto Garton Ash, professore di Studi Europei ad Oxford, sul Financial Times.
Il problema più pressante riguarda il protocollo nordirlandese, che ha creato un confine nel Mare d’Irlanda, allineano l’Ulster con l’unione doganale. Londra ha presentato una legge per stralciare unilateralmente alcuni aspetti del protocollo, accusando Bruxelles di un’interpretazione troppo rigida. La decisione, che viola un obbligo internazionale, ha scatenato le proteste di Bruxelles nonché di molti conservatori.
A Dublino, il primo ministro Irlandese Micheal Martin ha sottolineato come le relazioni siano state «tese e danneggiate» dalla legge di modifica del protocollo. Ma ha aggiunto: «Abbiamo l’opportunità di tornare al vero spirito di collaborazione e rispetto reciproco di cui abbiamo bisogno».
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