Europa in fiamme tra inflazione, disagio sociale e nuovi populismi
In Italia non stiamo affatto meglio. Venerdì scorso il presidente Gian Carlo Blangiardo e la direttora Linda Laura Sabbadini, nel Rapporto annuale dell’Istat, ci hanno scosso dal torpore, descrivendo con i numeri un’Italia insopportabilmente povera, drammaticamente invecchiata, scandalosamente diseguale. Non sappiamo cosa sperare, in una nazione dove per ogni 100 adolescenti sotto i 15 anni ci sono 200 anziani over 65, la povertà degli under 18 è salita al 14 per cento, quella dei ragazzi tra i 18 e i 34 anni è aumentata all’11 per cento, 7 milioni di giovani vivono ancora a casa con mamma e papà, 4 milioni di stipendi sono sotto i 12 mila euro l’anno, 1 salario su 3 non arriva a mille euro al mese, metà delle donne tra i 25 e i 44 anni non lavora. Possiamo consolarci pensando che la statistica ufficiale fotografa solo il Paese legale, mentre nel Paese reale c’è un altro Pil da 150-200 miliardi che non vediamo, perché è occulto, è nero, è sommerso. È il frutto proibito dell’economia “informale” e dell’evasione fiscale, ma che se non ci fosse avrebbe già portato gli italiani alla fame e alla sommossa. Ma che conforto è, quello in cui si arrotonda o si ingrassa violando la legge e rubando denaro sporco alle spalle di chi la rispetta?
Draghi finora ha portato avanti la missione che Mattarella gli aveva affidato un anno e mezzo fa: la lotta alla pandemia, con l’avvio del piano vaccinale, e l’attuazione del Recovery Plan, con la messa a terra dei progetti concordati con la Ue per ottenerne i fondi. Ora la guerra ha cambiato lo scenario. Il Pnrr è fondamentale, ma non basta più. I decreti aiuti servono, ma sono insufficienti e talvolta iniqui, perché spesso sussidiano più le famiglie benestanti che quelle incapienti. I bonus sono stati utili, ma hanno bruciato troppe risorse. Carlo Cottarelli segnala che, tra gli oltre 40 introdotti negli ultimi due anni, esiste anche un bonus zanzariere fino a 60 mila euro detraibili: devono esserci in giro zanzare davvero molto grosse, per giustificare sostegno di questa portata. La prossima legge di bilancio è l’occasione per dare risposte al disagio sociale che cresce, e di cui finora la politica non si è fatta carico se non scegliendo poco e promettendo troppo. Fisco, welfare, giustizia, concorrenza: le vere riforme sono ancora tutte da fare. Neanche Draghi le ha fatte. Ma benché non rientrassero nel suo mandato, sarà il caso di prevederle adesso, usando l’ultima sessione di bilancio utile prima della fine della legislatura.
Possiamo ironizzare finché vogliamo sui grotteschi borborigmi del fu Movimento Cinque Stelle. Del suo capo-comico Grillo che si crede in connessione spirituale col Mahatma Gandhi ma pare il Gabibbo. Del suo capo-politico Conte che pensa a Cavour ma somiglia a Forlani. E possiamo anche bocciare il preambolo in nove punti che i pentastellati hanno consegnato al premier, per chiedere risposte senza le quali si dichiarano pronti a uscire dalla maggioranza: è assurdo chiedere un altro condono mascherato, nel Paese dei poeti dei santi e degli evasori, né si può lasciare che Roma marcisca sotto i rifiuti, per il no antistorico a un termovalorizzatore. Ma da Palazzo Chigi è urgente un ascolto più attento e concreto ai mali profondi della società italiana, ai fenomeni di marginalità e di esclusione sociale, ai bisogni delle nuove generazioni, alle quali non basta risparmiare altre cambiali emettendo più debito pubblico o facendo ulteriori scostamenti di bilancio. Scuola, formazione, lavoro, salari, parità di genere tra uomo e donna: qui, davvero, il piatto piange.
Dopodomani il presidente del Consiglio Draghi incontrerà i sindacati. È una buona occasione per provare almeno ad aprire una fase nuova, in vista della manovra di settembre. Ha ragione Maurizio Landini, quando nel colloquio con Lucia Annunziata che pubblichiamo oggi sostiene che se la guerra non si ferma andiamo incontro a un’esplosione sociale. Ed ha ancora più ragione quando aggiunge che le scelte si devono fare ora, e sono tutte dentro la politica. Se si chiude questa “finestra” temporale, non solo l’Italia, ma l’intero Occidente rischia di lasciare di nuovo il campo ai profeti dell’anti-politica. Non illudiamoci: come dimostrano Trump in America e Le Pen in Francia, il ciclo populista non si è affatto esaurito. Al contrario, resiste, cresce, ingrassa. Come nel recente passato, si nutre di paura, disagio e rancore sociale. Mai come oggi, tocca alla buona politica “affamare la Bestia”.
LA STAMPA
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