La minaccia del pendolo populista
M5S e Lega non hanno una strategia comune tra loro, ma oggettivamente giocano di sponda. In caso di defezione dei Cinque Stelle, il probabile contraccolpo sarebbe un’uscita dal governo anche della Lega, in una gara di irresponsabilità
Si vedrà nelle prossime ore quale sarà la ricaduta finale delle convulsioni del M5S. Ma ritenere che un eventuale smarcamento dei grillini possa essere considerato come un fatto numerico senza conseguenze politiche non è verosimile: anche se non fosse formalizzato. Il non voto di ieri dei Cinque Stelle alla Camera sugli aiuti alle famiglie è un brutto precedente. Rafforza l’impressione di una situazione in bilico; e da recuperare, se è ancora possibile, prima che giovedì in Senato si consumi una rottura.
Il colloquio privato che nel pomeriggio Mario Draghi ha avuto al Quirinale col capo dello Stato, Sergio Mattarella, va letto come una conferma del loro asse istituzionale e della volontà di non drammatizzare. Ma l’idea che una maggioranza appoggiata dall’esterno dalle truppe di Giuseppe Conte possa andare avanti «perché i numeri comunque ci sono», significherebbe sottovalutare uno strappo grave; e dare per scontato che il governo italiano possa affrontare un periodo di logoramento di qui alle prossime elezioni politiche.
Quello che si sta materializzando è lo scenario comunque più temuto: un Movimento allo sbando, in preda alle pulsioni più estremistiche, che minaccia di scaricare paure e conflitti interni su Palazzo Chigi. Il fatto che Silvio Berlusconi rispolveri un concetto del passato come la verifica di maggioranza, sottolinea l’incertezza di questa fase. E la rapidità con la quale Matteo Salvini ha accolto la proposta sembra indicare non tanto la voglia di un nuovo accordo, ma quella di certificare l’impossibilità dell’unità nazionale, magari accelerando la crisi.
La previsione è che in caso di defezione dei Cinque Stelle, il probabile contraccolpo sarebbe un’uscita dal governo anche della Lega. Da mesi il partito di Salvini si sente insidiato dalla destra d’opposizione di Giorgia Meloni, che travasa i voti del Carroccio. E aspetta di capire a che punto avrebbe convenienza a rivendicare le mani libere, pattinando tra appoggio e opposizione a Draghi in modo simmetrico al M5S: al punto che la zavorra finanziaria delle rivendicazioni leghiste preoccupa Palazzo Chigi quanto gli scarti grillini.
Il pendolo populista oscilla da una posizione all’altra senza una strategia comune tra loro, ma oggettivamente le due forze giocano di sponda. Guerra della Russia all’Ucraina, risalita della pandemia, Piano europeo per la ripresa: sono vere priorità che gli aspiranti guastatori considerano motivazioni trascurabili, presi da un miope istinto di sopravvivenza. Draghi si trova a dover fronteggiare una coalizione nella quale a tentare una forzatura destabilizzante non sono formazioni convinte di avviarsi a un trionfo elettorale.
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