L’ora più buia di Palazzo Chigi

Marcello Sorgi

Attesa per giovedì e anticipata a ieri sera, la salita al Quirinale di Draghi, dopo l’abbandono dell’aula della Camera da parte dei deputati pentastellati nel voto sul decreto “Aiuti”, imprime una svolta drammatica alla crisi strisciante che si trascina da settimane. Per la prima volta, infatti, è venuta meno la condizione che il premier aveva posto per restare a Palazzo Chigi: la permanenza dei 5 stelle nella maggioranza a tutti gli effetti: senza il balletto a cui si è assistito in questi giorni, con il “sì” alla fiducia venerdì e la non partecipazione alla votazione sul merito del provvedimento ieri. Una tattica che avrebbe potuto ripetersi tra due giorni al Senato, quando, per effetto del regolamento di Palazzo Madama, i grillini non avrebbero potuto replicare lo stesso comportamento e si sarebbero ritrovati a non votare la nuova fiducia che il governo si accinge a porre. Un tremendo pasticcio. Di cui Conte, come leader del Movimento, è pienamente responsabile.

L’aspetto sorprendente per chi, come lui, è stato due volte presidente del consiglio, è stato pensare che tutto fosse possibile e che gli altri partiti della maggioranza, pur di non vedere rinfoltite le file dell’opposizione, glielo avrebbero consentito. Invece, com’era prevedibile, è arrivato il “no” del centrodestra. Ed è toccato a Berlusconi pronunciarlo proprio perché, all’interno della coalizione, è l’uomo che ha ricoperto le più importanti responsabilità di governo. Berlusconi chiede una “verifica”, ben sapendo che troppo spesso quella parola vuol dire “crisi”, ma offre la piena responsabilità del centro destra per arrivare alla fine della legislatura: con un nuovo governo, s’intuisce, o anche con questo stesso, ma rinnovato e privato una volta e per tutte dell’inaffidabile coinvolgimento del Movimento.

È di questa novità, o anche di questa, che Draghi è andato a parlare con Mattarella: perché si tratterebbe di un cambio di quadro politico. Un governo di unità nazionale, ma a prevalente trazione di centrodestra. Una specie di camicia di forza per Letta, che si troverebbe, o a doverla indossare, con gli immaginabili mugugni interni del Pd, o a condividere con Conte la responsabilità di condurre il Paese alle elezioni, in un quadro di sfascio e in una cornice rischiosa com’è ancora quella della guerra, della crisi energetica ed economica già in corso e del ritorno dell’allarme Covid.

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