Berlusconi: “Il governo va avanti anche senza 5 Stelle. Nessuno dopo Draghi in questa legislatura”
Presidente, salario minimo sì o no?
«È una
proposta che non mi ha mai convinto. Come hanno spiegato autorevoli
economisti, in certi casi può addirittura peggiorare le condizioni del
lavoratore, perché la paga orario non è l’unico aspetto di un contratto
di lavoro. Naturalmente ho ben chiaro il fatto che in Italia gli
stipendi e i salari sono troppo bassi, ma la strada per uscirne, che
abbiamo indicato da tempo, si chiama taglio del cuneo fiscale, in modo
da lasciare più risorse alle aziende ma soprattutto ai dipendenti.
Dunque sì a provvedimenti per far crescere i salari, ma sono molto
perplesso sul salario minimo che, come tutte le misure dirigiste, non
risolverebbe i problemi».
Le dico l’impressione che fa da fuori la sua scelta di
chiedere una verifica sulla maggioranza: il governo traballa e
Berlusconi chiama le guardie azzurre per difendere il Palazzo.
«Non
c’è nessun Palazzo da difendere. C’è da difendere il lavoro che con
spirito di sacrificio e senso di responsabilità stiamo facendo per il
Paese, anche accettando una formula politica che per noi è del tutto
innaturale».
Perché il Pd dovrebbe restare schiacciato in un esecutivo con Lega e Forza Italia?
«Il
Pd spesso si atteggia a forza politica responsabile, istituzionale,
credibile. Stavolta ha l’occasione di dimostrarlo. Vedremo se a Enrico
Letta e ai suoi sta più a cuore il futuro del Paese o quello del campo
largo. Che poi, viste le prospettive dei Cinque Stelle, somiglia sempre
più a un camposanto».
Mariastella Gelmini ha invocato l’agenda Draghi anche dopo il voto. Condivide?
«Veramente
sono stato io, già da molti mesi, a dire in tante occasioni che il
valore dell’esperienza del governo Draghi andrà mantenuto e continuato
anche nella prossima legislatura. Ciò non significa naturalmente che sia
ripetibile la formula politica che ha dato vita a questo governo. Sarà
il centro-destra a doversene fare carico».
Presidente, lei ci crede a questa storia di Draghi che avrebbe chiesto a Grillo la testa di Conte?
«Posso
dirle che la cosa non mi interessa affatto? In ogni caso dubito che il
Presidente del Consiglio entri in modo così irrituale nella vita di una
forza politica che lo sostiene».
Conte è politicamente finito?
«Non è nel mio stile dare giudizi personali».
La rendo impersonale: i 5 Stelle sono finiti?
«I
Cinque Stelle sono stati una risposta – importante nei numeri, ma
sbagliata nei contenuti e nel linguaggio – a un problema vero, quello
della crisi della rappresentanza politica. Purtroppo, come avevamo detto
dal principio, il ribellismo senza cultura politica, senza programmi,
senza altre idee che non fossero confusa antipolitica o qualche vecchio
slogan della sinistra estrema, non offriva nessuna prospettiva di
cambiamento vera. Ovviamente non hanno alcun futuro e alcuna
prospettiva, tanto è vero che la parte più avveduta politicamente li ha
lasciati. La loro disgregazione non ci consente però di dimenticare una
cosa importante. Un terzo degli italiani in qualche momento ha affidato a
loro una speranza di cambiamento. Questi elettori meritano rispetto. La
loro insofferenza verso un certo tipo di politica è anche la mia, anche
se naturalmente le risposte sono diverse. I tanti che hanno votato
Cinque Stelle, per disperazione piuttosto che per convinzione, come i
tanti che oggi si astengono dal voto, sono cittadini ai quali la
politica dovrebbe offrire qualcosa di diverso, qualcosa in cui credere
davvero. Una buona politica è la risposta all’astensionismo come alla
nascita di movimenti ribellisti. Forza Italia è nata proprio per questo.
Per cambiare la politica in modo serio e con persone serie».
Ricorda quando disse: a Di Battista e Di Maio non farei neanche pulire i bagni di Mediaset?
«Prima
di tutto non ho mai fatto questi nomi, la mia era una osservazione
scherzosa riferita in generale agli eletti del Movimento Cinque Stelle.
Ovviamente non la rifarei perché a una battuta fatta in un contesto
informale è stata data la dignità di una considerazione politica. Mi
riferivo comunque al fatto che molti dei loro candidati non avevano
alcun curriculum, non avevano mai fatto un lavoro serio, non avevano mai
fatto neppure una dichiarazione dei redditi. Come si poteva pensare di
mettere nelle loro mani il futuro del Paese? E in effetti i risultati si
vedono. Al di là delle qualità individuali, che ad alcuni di loro non
mancano, rimane il fatto che la loro inesperienza e incompetenza in
molti casi ha avuto gravi effetti non solo per loro stessi ma per il
Paese».
Se lo immagina un Grande Centro senza di lei?
«L’idea
di un Grande Centro mi fa sorridere. Sarebbe l’ennesimo centro piccolo
piccolo, affollato di leader senza seguito nel Paese, che avrebbero come
unico obiettivo unificante quello di tentare di non farci raggiungere
la maggioranza e poi di contrattare con la sinistra dopo le elezioni.
Naturalmente un tentativo del genere sarebbe destinato a fallire. Chi
volesse davvero costruire un centro forte, credibile, di cultura
liberale, cristiana, europeista, garantista, nel solco del Ppe può farlo
con noi. Il mio invito rimane sempre valido».
Sala, sindaco di Milano, ha la statura per fare il leader nazionale?
«Sala
si è da poco fatto rieleggere sindaco di Milano. Farebbe bene a
concentrarsi sui tanti problemi della città, anche perché da un manager
della sua storia e del suo prestigio mi sarei atteso una qualità
dell’azione amministrativa decisamente migliore».
Se Meloni fosse la più votata del centrodestra alle prossime elezioni, Palazzo Chigi toccherebbe a lei?
«Non
credo che discutere di questo un anno prima sia molto utile. Pensiamo a
vincere le elezioni proponendo agli italiani un governo serio,
credibile, autorevole in Europa e nel mondo. Alla fine del percorso, non
certo all’inizio, individueremo insieme la figura con il profilo più
adeguato».
Provo in un altro modo: l’Europa accetterebbe Meloni a Palazzo Chigi?
«L’Europa
non sceglie il nostro Presidente del Consiglio. È una prerogativa che
spetta esclusivamente al Capo dello Stato, sulla base delle scelte del
corpo elettorale. L’Europa si attende un governo autorevole e credibile,
chiaro nelle scelte di politica internazionale, dotato di adeguate
credenziali europeiste e atlantiche. Un governo di profilo liberale del
quale noi siamo i garanti. Per questo il ruolo di Forza Italia è
determinante, non solo dal punto di vista numerico».
Prima della fine dell’estate Palazzo Chigi avrà un altro inquilino?
«Mario Draghi sarà l’ultimo presidente del Consiglio di questa legislatura».
La cito: nel 2023 torno in campo e Forza Italia prende più del 20%. Fosse così, farebbe lei il premier?
«Confermo l’obiettivo. Io sono sempre a disposizione del mio Paese ma oggi il mio compito è un altro».
Presidente, per chiudere una cosa più leggera. Cavani o Icardi per il Monza?
«I nomi si fanno solo quando i calciatori sono già acquistati. Posso dire che i nostri obiettivi sono diversi ma non meno ambiziosi. Il Monza mi ha dato la più bella soddisfazione calcistica della mia vita, con la promozione in serie A e la passione, l’entusiasmo, l’affetto di un’intera città che aspettava questo evento da 110 anni. Eppure sono a tutt’oggi nel mondo la persona che ha vinto il maggior numero di titoli nazionali e internazionali come Presidente di Club. Ora il Monza è in serie A non solo per restarci, come questa città merita, ma per battersi alla pari contro le maggiori squadre italiane e chissà, in futuro, anche europee. Con Adriano Galliani e gli altri dirigenti stiamo lavorando molto bene per costruire questa squadra».
LA STAMPA
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