Governo, Draghi “pronto a lasciare”. Ma per evitare le urne l’ipotesi di una nuova fiducia
Ilario Lombardo
Al telefono con Giuseppe Conte, Mario Draghi ha spiegato quella che secondo lui è la migliore ragione per rimanere al governo: «Gli obiettivi che il M5S pone si possono raggiungere più facilmente restando dentro la maggioranza che fuori». Questa frase, adesso, il premier potrebbe doverla girare a se stesso. Perché quando a sera, poco dopo le 22, ascolta Conte confermare davanti all’assemblea degli eletti che oggi in Senato il M5S uscirà dall’Aula per non votare la fiducia al decreto Aiuti, il premier si trova catapultato di fronte una scelta che dovrà prendere nelle prossime ore: restare al governo e con il governo cercare di raggiungere gli obiettivi in programma? Oppure mollare, chiudersi forse per sempre la porta di Palazzo Chigi alle spalle, assumendosi il rischio di portare l’Italia al voto perché, come ha detto l’altro ieri, non si può governare «con gli ultimatum» e con chi «minaccia sfracelli»?
Prima di prendere una decisione, però, Draghi sa che dovrà tenere in conto una variante che in momenti di incertezza come questo entra in gioco e diventa decisiva. Sergio Mattarella non vuole la crisi, e, se c’è la possibilità di andare avanti, il presidente della Repubblica farà di tutto per esplorarla fino alla fine. Magari, come ieri spiegavano dal Pd e come fino a 24 ore fa confermavano anche a Palazzo Chigi, rimandando il premier in Aula, per verificare se c’è ancora la fiducia, e se è vero, come ieri assicurava Conte, che il M5S è pronto a dare il via libera.
In un momento come questo, con la guerra in Ucraina, il carovita che sta impoverendo gli italiani, e gli obiettivi del Pnrr ancora da completare, la strategia del Capo dello Stato punta a conservare la stabilità, a evitare la terza caduta di un governo in meno di cinque anni. Le telefonate tra il Quirinale e Palazzo Chigi sono quotidiane. Sanno su al Colle quali sono le condizioni poste da Draghi, le hanno sentite, durante la conferenza stampa di martedì. E sanno che il premier potrebbe metterle sul tavolo di Mattarella quando salirà nel suo studio, dopo il voto in Senato, come appare scontato che farà.
Ieri, a sera, nelle stanze attigue a quella del presidente del Consiglio gli umori non erano dei più ottimisti. A Conte era stata offerta un’alternativa. Se ne era fatto portavoce il vertice del Pd. Il M5S si sarebbe ufficialmente espresso a favore del decreto, una parte dei senatori, anche piccola, sarebbe rimasta in Aula, gli altri avrebbero disertato. L’atto avrebbe avuto un alto valore politico agli occhi di Draghi, consapevole che c’è un precedente, perché alla fine dello scorso settembre la Lega si spaccò sul decreto Green Pass, e più di una quarantina di parlamentari, i più fedeli alla linea di Matteo Salvini, lasciarono i banchi di Montecitorio. Conte, però, non aveva margini per arrivare a questo compromesso.
Il dramma del leader pentastellato è diventato ancora più chiaro a Draghi durante la telefonata con lui. L’avvocato gli ha spiegato la situazione in Parlamento, i senatori irriducibili che non avrebbero mai votato il provvedimento. Draghi gli ha ribadito la disponibilità sui nove punti del documento, sulle emergenze sociali da affrontare, dal salario minimo alle misure a difesa delle famiglie piegate dalla crisi dei prezzi. Il premier non si è spinto oltre.
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