Il fantasma delle elezioni
Federico Geremicca
Un’attesa rassegnata. Interrotta, ogni tanto, da lamenti che invitano ad avere ancora speranza. Ma la sensazione, deprimente, alla fine è quella che ti piglia quando dalla tv ti avvertono dell’arrivo dell’ennesima ondata di caldo: non puoi farci niente. Puoi solo aspettare.
Stavolta, però, quello che entro il fine settimana potrebbe abbattersi sul Paese non è il solito vento africano ma uno tsunami del quale solo adesso protagonisti e comprimari sembrano avvertire le proporzioni. La fine del governo Draghi colpirebbe il Paese, certo, la sua economia e – nuovamente – l’immagine che offre di sé all’estero, con intensità ed effetti oggi difficili da valutare: si è detto e ridetto, ora siamo alle suppliche, agli appelli, alle manifestazioni di piazza. Ma in queste ore – anzi, in quest’ora della Grande Decisione – partiti e coalizioni si accorgono di altro: e cioè, che assieme al destino del governo (e forse prim’ancora di quel destino) quel che accadrà mercoledì tra Parlamento e Quirinale deciderà molto, se non tutto, delle alleanze che si sfideranno alle prossime elezioni: tanto che si voti tra due mesi, quanto nella prossima primavera.
Nessuno era – e probabilmente ancora adesso è – pronto al possibile precipitare della situazione. I leader politici, tutti, appaiono ancora sorpresi dalla scelta di Draghi. Non se l’aspettavano. Per Conte questo è evidente, considerato il pozzo senza fondo in cui è precipitato. Ma anche Berlusconi e Salvini sono spiazzati: non immaginavano di dover decidere in una manciata di giorni se rompere con la Meloni e partecipare comunque ad un governo o arrendersi, consegnarsi subito alla sua leadership e andare a votare a settembre. Senza dire, naturalmente, di Sisifo-Letta con quel campo largo che proprio non decolla e con lui che sembra finito in un angolo a causa dell’inattesa mossa: certo che da Conte temeva un colpo di testa, ma non s’aspettava che Draghi cogliesse quest’occasione per piantare baracca e burattini.
Confusi e preoccupati dal fatto che sarà di nuovo il tandem Mattarella-Draghi a decidere tempi e rotta anche di questa crisi, i partiti stanno facendo comunque le loro mosse: che guardano un po’ al governo e molto già alla prossima – e magari imminente – campagna elettorale. In mezzo a mille contraddizioni, si posizionano per esser pronti a tutto. Il “centrodestra di governo” – così si definiscono Berlusconi e Salvini: ma sul secondo ci sarebbe da dire – ha scavato la sua trincea: andiamo avanti con Draghi ma senza Cinque stelle, altrimenti elezioni a settembre. È una mossa che non può far piacere a Giorgia Meloni, perché di nuovo non coglie l’occasione fornita da Conte per andare immediatamente al voto: ma è invece buonissima per parlare al mondo che tifa Draghi, per non rompere del tutto con la “galassia centrista” e per uscire dal possibile banco degli imputati, se si precipitasse verso il voto. Infatti, come è evidente, la linea scelta lascia ad Enrico Letta la responsabilità di dire no ad una soluzione che consentirebbe la conclusione naturale della legislatura: con tutto quel che si rovescerebbe sul Pd.
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