Il capo del governo ascolti il nostro whatever it takes

Alessandro De Angelis

Il Re è nudo: c’è Draghi e c’è il Paese. In mezzo un sistema politico collassato. Di questo collasso l’arrivo del premier fu l’espressione, ora il suo congedo (annunciato) lo fa riemergere senza parafulmine. Se la decisione del premier dipende dai segnali che arrivano dall’implosione dei Cinque stelle o dalle tentazioni elettorali leghiste, può tranquillamente fare gli scatoloni. L’alibi è perfetto per lasciare il circo.

Però è anche vero che, proprio perché nessuno ha un minimo disegno generale e la forza di dettare le condizioni – neanche Salvini può permettersi di rompere col vecchio Silvio per consegnarsi alla Meloni – Draghi arriverà in Parlamento più forte. Perché avrà di fronte un quadro politico più sfarinato. E proprio i tempi supplementari sapientemente concessi da Mattarella consentono di vedere, con maggiore distacco, la vera posta in gioco della sua scelta: la tutela della “collocazione internazionale” e degli “interessi nazionali” del Paese.

Questi giorni hanno già prodotto un fatto nuovo: la rivincita del principio di realtà su una politica che su di esso ha lucrato. E il disvelamento dell’essenza popolare di tale principio. Sono “popolo” gli eroi del Covid – medici, infermieri, psicologi – e sono “popolo” i mille sindaci che, dalle trincee delle città, gli chiedono di restare. Sono “popolo” i sindacati, le forze sociali, le imprese, le associazioni di categoria (che rappresentano anche la constituency leghista del nord) come “popolo” sono gli ucraini in guerra al fianco dei quali la vicepresidente Iryna Vereshchuk chiede di continuare a combattere.

L’idea che il gran rifiuto di Draghi non abbia effetto sulla sua credibilità personale può, in breve, rovesciarsi nel suo opposto proprio perché la crisi, rispetto all’inizio, è uscita dal Palazzo. Di fronte a una così pressante richiesta di un “whatever it takes” per salvare l’Italia, e non solo, anche Draghi, disattendendola, rischia di pagare un prezzo. Difficile che, nel Paese, qualcuno attribuirà solo a Conte la colpa dei costi della crisi, piuttosto – accade così dopo vent’anni di anti-politica – si dirà che “è colpa di tutti”, di “quelli che litigano e ci fanno votare invece di pensare alle bollette”. Draghi compreso, il “salvatore” che, nel momento in cui non assolve al compito, inevitabilmente sarà percepito come un “disertore”. I più cattivi poi diranno che, dopo la vicenda del Quirinale, non vedeva l’ora di abbandonare la nave.

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