Conte nel labirinto cerca una via d’uscita. “Ma io che devo fare?”
Tra le telefonate al leader grillino ci sono ovviamente quelle dei colonnelli del Pd e di Leu. Provano a incrinare l’indecisione granitica di Conte: «Se voti la fiducia, lasci il cerino in mano al centrodestra – gli dicono tutti –. Scaricherai i problemi su Salvini, Berlusconi e anche su Draghi, che avrà un altro fronte aperto. Non sarai più tu l’unico responsabile di questa situazione». Conte ascolta, ma «come faccio?», chiede anche a loro. Come spiegare alla base che quello portato sul tavolo di Draghi è stato un penultimatum e niente di più? I senatori, i suoi fedelissimi senatori, gli unici di cui si fida e che per primi hanno spinto per lasciare, come reagirebbero? «Gli sono vicini, capirebbero», lo rassicurano. «Qualcuno deciso a votare contro la fiducia uscirebbe, ma stiamo parlando di un paio di scalmanati».
L’indecisione di Conte, così, si protrae fino a notte inoltrata e la sensazione di disorientamento inizia a prendere alla gola i graduati del partito. Il vicecapogruppo dei senatori del Movimento, Gianluca Ferrara, quando è ormai sera si trova ancora chiuso nel suo ufficio a palazzo Madama. I gomiti poggiati sulla scrivania, la testa tra le mani. Deve scrivere il discorso che pronuncerà oggi, in Aula, al termine delle comunicazioni del presidente del Consiglio. Ferrara fissa il foglio bianco. L’ennesimo tra i tanti già riempiti di cancellature e poi cestinati. «Non so cosa scrivere», ammette a La Stampa. «Anche perché – aggiunge candidamente – non so ancora qual è la nostra linea definitiva». E in fondo, in quest’ultima semplice risposta, viene dipinto il dramma del leader che travolge l’intero partito. Nessuno sa di che morte politica dovrà morire.
L’unico a non mostrare alcun dubbio è Alessandro Di Battista: «Entrare nel governo Draghi è stato un suicidio», scrive su Twitter. «Io non ho parole per le str.. .ate totali che sono riusciti a fare questi pseudo-dirigenti nell’ultimo anno e mezzo – prosegue in un video sui social attaccando frontalmente gli ex compagni di partito –. Mi dicevano che è facile parlare da fuori, forse perché da fuori non si hanno conflitti di interessi legati a poltrone e stipendi e si ha un po’ più di lucidità». Conte, invece, dai dubbi è dilaniato. Ed è la lucidità che cerca. Ma di certo non è quella di Dibba.
LA STAMPA
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