Una Finanziaria anticipata e ora il Fisco. Draghi: situazione grave, non si va in ferie
ALESSANDRO BARBERA
ROMA. «La situazione è grave, e il governo non va in ferie». Palazzo Chigi, ore dieci, ieri. Se si potesse isolare il frame della crisi e delle sue dimissioni, le parole di Mario Draghi sembrerebbero quelle di un premier nel pieno delle funzioni. Si tratta invece della traduzione in atti di governo del mandato di Sergio Mattarella. Il decreto che Draghi varerà nei primi giorni di agosto – per qualità e quantità – è pari a quello di una legge Finanziaria. Mai era accaduto che un governo dimissionario mettesse sul tavolo in estate più di quattordici miliardi di euro. E il perché è presto detto: mai era accaduto nella storia repubblicana che il Paese andasse al voto in autunno, con il rischio che il nuovo governo non abbia il tempo di varare la legge di bilancio nei tempi previsti dalla legge.
Se la situazione non fosse grave, il decreto di agosto si sarebbe limitato a confermare le misure varate prima della crisi. Ieri il menù è cambiato: ci saranno anche un taglio degli oneri fiscali sul lavoro dipendente e la rivalutazione delle pensioni. Il governo dimissionario non può fare interventi di lungo periodo, né introdurre norme che si spingano fino al 2023. I sindacati avrebbero voluto così, ma in questo senso la Costituzione è chiara. La presentazione del ministro del Tesoro Daniele Franco ha dato comunque ai presenti l’impressione di un governo chiamato a mettere in sicurezza il Paese il più a lungo possibile.
«Se avremo più entrate le continueremo a spendere», ha detto Draghi negli incontri. Molto dipenderà dall’andamento delle entrate fiscali, perché spesa in deficit il premier uscente non intende farne. Il leader della Cgil Maurizio Landini ha preso ad esempio l’ultimo bilancio di Unicredit per invocare un nuovo intervento sugli extraprofitti delle imprese, stavolta allargato alle banche. I leader di Cisl e Uil, Luigi Sbarra e Pierpaolo Bombardieri, hanno puntato il dito sui conti di Amazon, pur non citandola direttamente. Ma a Palazzo Chigi sanno che si tratta di decisioni difficili per un esecutivo dimissionario. Non solo: molte delle aziende energetiche già colpite dagli interventi precedenti sono sul piede di guerra, convinte che quanto pagano fin qui sia al limite del dettato costituzionale.
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