Alla corte di Meloni

Antonio Bravetti

ROMA. «Sì, la sfida è tra noi e il Pd. Quindi in campagna elettorale invito tutti a evitare polemiche con i nostri alleati di centrodestra. Le polemiche aiutano gli avversari, e noi non vogliamo concedere neanche un millimetro».

Giorgia Meloni spiega alla direzione di FdI qual è la strada che vuole percorrere da qui al 25 settembre e i dirigenti del partito, che insieme a lei sono cresciuti dal 3% di nove anni fa al quasi 23% di oggi, applaudono e si alzano in piedi per ringraziarla. Incoronata mercoledì da Silvio Berlusconi e Matteo Salvini, ai quali ha strappato una promessa sulla leadership e un accordo sui collegi uninominali, Meloni ieri ha acceso i motori di FdI in vista di una campagna elettorale estiva, inedita. A parlamentari e coordinatori regionali del partito ha dettato la linea da qui alle urne. Partendo dalla politica estera. Mentre infuriavano le polemiche sui contatti tra leghisti e diplomatici russi, lei ha ribadito: «Saremo garanti, senza ambiguità, della collocazione italiana e dell’assoluto sostegno all’eroica battaglia del popolo ucraino. L’Italia guidata da FdI e dal centrodestra sarà un’Italia affidabile sui tavoli internazionali».

L’accordo raggiunto con Forza Italia e Lega permette a Meloni di parlare da leader in pectore: «Agli alleati abbiamo ribadito che, per avere un governo forte e duraturo, è necessaria un’alleanza solida. Si vince e si perde insieme». Qualche crepa, però, c’è. La quota di collegi uninominali assegnati ai “centristi” ha provocato malumori in casa Udc. In sostanza se il partito di Lorenzo Cesa deciderà di correre col proprio simbolo sarà conteggiato tra gli 11 posti da dividere con Coraggio Italia, Noi con l’Italia e Vittorio Sgarbi. Se invece rinuncerà allo scudo crociato i candidati saranno assorbiti dentro Forza Italia o suddivisi tra gli azzurri e la Lega. In entrambi i casi l’Udc lamenta di essere stato sottostimato. Cesa chiede quindi di ricalibrare i collegi per «rispecchiare i reali pesi politici». Se ne riparlerà la prossima settimana, probabilmente martedì, quando i leader torneranno a incontrarsi. Se il vertice di mercoledì ha segnato un successo per Meloni, in FdI resta qualche perplessità, nel comunicato finale si dice che il premier verrà indicato «da chi avrà preso più voti» e non dal «partito» che ha preso più voti come chiesto da Meloni, una formula che lascia margine a interpretazioni arbitrarie.

La composizione delle liste è un classico della letteratura politica. Liti, offerte, promesse, anticamere. Sondaggi alla mano, Fratelli d’Italia è l’unico partito che nonostante il taglio dei parlamentari aumenterà il numero dei propri eletti. Quindi, oltre alla conferma degli uscenti, in via della Scrofa si ragiona su nomi e cognomi da coinvolgere. E la corte di Meloni si affolla ogni giorno di più. Si parla di Marcello Pera e Giulio Tremonti, già scongelati da FdI per la corsa al Quirinale. Dell’imprenditore veneto Matteo Zoppas, che per ora smentisce. E poi la giovane direttrice d’orchestra Beatrice Venezi, che però vuol essere chiamata «direttore d’orchestra»: lei potrebbe finire candidata in Toscana. Per la Campania, invece, è dato praticamente per certo Gennaro Sangiuliano, direttore del Tg2, già ospite della kermesse milanese di FdI. Ieri è di nuovo finito al centro delle polemiche, dopo che La Russa (che poi si è smentito) aveva rivelato una sua partecipazione alla stesura del programma elettorale del partito.

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