Conte: «Ci ho provato». Ma rischia di essere lui la vera vittima di Beppe

di Marco Imarisio

Il leader M5S giura ai big di aver fatto tutto il possibile e ora chiede aiuto per la campagna elettorale

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«Per favore, tu comunque dammi una mano in campagna elettorale». Ci sono tanti modi per mostrare la propria debolezza. Uno è senz’altro quello di chiedere aiuto alle persone che hai appena ucciso, politicamente parlando, si intende. E infatti i parlamentari in uscita che hanno sentito Giuseppe Conte chiudere in questo modo la sua telefonata piena di «ci ho provato a fargli cambiare idea», «non è colpa mia», «ti giuro che ce l’ho messa tutta», hanno pensato quello che ora pensano in molti, dentro e fuori il Movimento Cinque Stelle. È tutto finito.

La nascita di una simil lista Conte senza i contiani è tutto quel che resta di un mese cominciato con una scissione motivata con la politica estera ma in realtà generata dalla consapevolezza che non ci sarebbe stata alcuna deroga, proseguito facendo cadere un governo che almeno in via ufficiale non si aveva intenzione di far cadere, e terminata con questo nuovo capolavoro all’incontrario. «Tradire i propri uomini per salvare sé stesso» come dice in modo più colorito un ormai ex parlamentare di un certo peso.

Alla fine, si tratta sempre della cara vecchia questione umana, oltre che di incapacità politica, come sottolineano molti epurati che speravano nel celebre «mandato zero» inventato proprio dal reprobo Luigi Di Maio come ultima spiaggia. Lo hanno pregato in ginocchio, tutti. Non basta qualche sms, lo sai come è fatto Beppe, prendi l’aereo e vai in Sardegna. Devi coccolartelo, devi finalmente farlo sentire importante, e ti porti a casa questa ennesima deroga all’anima dei vecchi 5 Stelle. In fondo che ci vuole, dopo che Grillo ha già ingoiato anche la recente sconfessione del «mai soldi ai partiti» che fu la linea del Piave di Gianroberto Casaleggio con il tentativo di gennaio, per altro anch’esso fallito, di accedere al 2 per mille con le dichiarazioni dei redditi dei cittadini.



Ma lui, niente. Ogni ego è grande a mamma sua. Conte non si è mai mosso dal Gargano, dalla vacanza al mare per la quale è partito dopo aver fatto cadere un governo a sua insaputa, anche questa una scelta che ha destato perplessità nei gruppi parlamentari. La villeggiatura, non il siluro a Mario Draghi, si capisce. E qui si ritorna indietro di un anno esatto, a quella singolare fiera dell’incomunicabilità che sancì l’ingresso dell’ex presidente del Consiglio in casa d’altri, con il proprietario che prima aveva definito il nuovo affittuario «senza visione, autore di uno statuto secentesco», e poi aveva cambiato idea all’improvviso. A farlo tornare sui suoi passi era stata la ribellione dei tre membri del Comitato di garanzia, organismo che secondo le vecchie regole di fatto certificava le opinioni espresse da garante, altrimenti detto l’Elevato.

A Roberta Lombardi, Vito Crimi e Giancarlo Cancellieri l’aveva giurata da quel giorno. Si era sentito tradito, obbligato ad avallare una scelta che non ha mai smesso di sentire come un innesto innaturale.

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