Russia connection

Lucia Annunziata

Sullo sfondo, a partire dal 2014 le sanzioni imposte alla Russia dopo l’annessione della Crimea. Un anticipo, come si vede, di molte cose poi aggravatesi.

Questa che segue è la ricostruzione del primo scontro fra Europa e Salvini, per altro perso dal leghista, che, come si ricorderà, proprio su questo perderà il Governo, nel 2019, per mano del suo alleato di allora, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. La ricostruzione è tratta dal libro «L’inquilino», storia dei governi degli ultimi dieci anni, che sta per uscire per Feltrinelli.

Il caso dei fondi russi
Il 10 luglio del 2019, il sito americano BuzzFeed annuncia di essere in possesso di una registrazione del colloquio a Mosca in cui si discute delle modalità per erogare fondi al partito di Salvini. È lo stesso colloquio di cui aveva parlato l’Espresso 6 mesi prima. Ma stavolta c’è un’incontrovertibile prova: un audio. «Sei uomini si incontrano per una riunione di lavoro la mattina del 18 ottobre dell’anno scorso tra il rumore di tazzine e l’opulenza delle colonne di marmo dell’iconico Hotel Metropol di Mosca, per parlare di progetti mirati a una “grande alleanza”. I sei uomini – tre russi e tre italiani – si riuniscono sotto la spettacolare volta dipinta della lobby, avendo anche loro in mente un’operazione storica. Formalmente stanno trattando un accordo per una partita di petrolio; il vero scopo è quello di indebolire le democrazie liberali e formare una nuova Europa nazionalista allineata con Mosca».

L’audio racconta come i sei uomini discutano con cura i vari modi per poter “inviare segretamente” decine di milioni di dollari della Russia per colui che è definito «il più forte leader europeo di estrema destra». La conversazione registrata dal sito americano riprende e conferma in maniera definitiva l’inchiesta dell’Espresso nel racconto degli inviati Giovanni Tizian e Stefano Vergine, pubblicato il 24 febbraio 2018. Il piano è quello di una falsa vendita di 3 milioni di tonnellate di gasolio da vendere tramite un’azienda italiana (nell’audio si parla di Eni, che smentisce subito) per sostenere con un finto scambio commerciale i sovranisti alle vicine europee. «Non sappiamo se l’affare sia stato concluso», scrive l’Espresso. Salvini si attaccherà proprio a questo «non ho visto un rublo» per la sua difesa.

Ma l’audio del sito americano rivela una vicinanza politica imbarazzante a un certo sottobosco politico russo, personaggi vicini a Putin che lavorano non solo con Salvini ma con le maggiori figure del sovranismo europeo.

Per dirla con Marco Minniti, predecessore di Salvini al Viminale, la questione non è il finanziamento ma quello di «una possibile soggezione del Ministro degli Interni, Matteo Salvini, nei confronti della Russia». Minniti inquadra la posta in gioco di quel che succede a Mosca. «In Russia si sta certamente giocando una importante e delicata partita con l’Europa, Matteo Salvini ricopre la massima carica dello Stato in materia di sicurezza nazionale per questo il ministro deve venire a chiarire in Parlamento non in diretta su Facebook». Salvini, insomma, è parte di un nuovo “grande gioco” politico fra Russia ed Europa. Il problema infatti non è la sua collocazione, ma il suo ruolo nella costruzione di quello che, anche nel colloquio riportato da BuzzFeed, i russi con cui parlano i salviniani definiscono come il progetto di «indebolire le democrazie liberali e formare una nuova Europa nazionalista allineata con Mosca».

Le elezioni europee del 2019 tuttavia non danno la vittoria al fronte “antieuropa” come sperato dai sovranisti. Il risultato elettorale complessivo del voto di maggio consente alle forze europeiste di isolare i nazionalisti. La rottura della maggioranza del governo italiano si consuma infatti in Europa prima ancora che in Italia. I 5 Stelle votano a favore della Von der Leyen, incassando loro la vicepresidenza che sarebbe dovuta andare alla Lega. Von Der Leyen si rivelerà una pedina fondamentale contro i sovranisti.

Un altro deludente evento segna il destino di Salvini in quel periodo: il viaggio a Washington del 17 giugno programmato per capitalizzare sul fronte delle relazioni atlantiche la grande vittoria alle europee di maggio, si rivela un altro schiaffo. Ci si aspetta molto da questa visita. E in Europa la si osserva con attenzione. I grandi giornali americani (fra cui Time Magazine, che mette Salvini fra i cento uomini più influenti del mondo) lo considerano un leader «alla Trump». Ma il viaggio non va esattamente così. Salvini vede Mike Pompeo, segretario di Stato, e il vicepresidente Mike Pence. Probabilmente avrà dato spiegazioni sulle mille e contraddittorie alleanze dell’Italia gialloverde a trazione leghista – Putin, innanzitutto, ma anche tutte le altre “stranezze geopolitiche”, agli occhi di Washington, del governo populista, come la forte relazione con la Cina e il Venezuela; ed è probabile che qualcuno a Washington ricordi ancora il vecchio amore per Saddam e per Milosevic, esaltati dai ruspantissimi leghisti all’epoca della guerra con la Jugoslavia negli Anni 90.

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