Russia connection

È ancora a Washington, lì dove le cose che avvengono in Occidente si sanno tutte, che si trova una spiegazione di come abbia funzionato quel primo scontro che, ripetiamo, ha fatto cadere Salvini e il suo governo con i 5S. Nel luglio di quel 2019 vado dunque a Washington. Il lavoro fatto viene poi pubblicato su Huffington Post, per cui allora lavoravo, il 23 luglio del 2019 – e non viene mai smentito. Dietro il Russiagate, secondo le opinioni che raccolsi, si vedevano i segnali di un nuovo attivismo dei Servizi tedeschi contro i sovranisti, di un diverso modo di interpretare la propria leadership sul vecchio continente e di un’America decisa a non lasciare campo a Putin. […]

La manina che più efficacemente potrebbe aver lavorato contro i sovranisti italiani sarebbe tedesca. Nel quadro di una “riattivizzazione” a tutto campo della strategia della Germania per difendere l’Europa dal risorgente nazionalismo, e dalla Russia di Vladimir Putin – un’uscita dal tradizionale schema della leadership “riluttante” che ha caratterizzato la Germania nel Dopoguerra. Passo intrapreso con il consenso/conoscenza della Francia e della Gran Bretagna, nonché degli Stati Uniti, a dispetto delle affermazioni di rutilante simpatia che il presidente americano Donald Trump ha sempre espresso nei confronti del leader russo Putin.

Questa è la storia che circola tra le due sponde dell’Atlantico in risposta alla sola domanda che interessa fuori dall’Italia sul caso Salvini/Mosca: chi ha incastrato il leader della Lega, vice premier e ministro dell’Interno italiano? Domanda non da spy story – anche se, come vedremo, di spy story è tutto il tono della vicenda – ma di pura politica.

La vicenda dei rapporti Lega/Mosca, comunque la si voglia interpretare, fuori dall’Italia ha colpito perché segnala alle élite della politica estera occidentale la necessità di fare, dopo le recenti elezioni per il governo di Bruxelles, i conti con il nuovo assetto interno dell’Europa e dei rapporti inter-atlantici. Nei sensibilissimi think tank americani, o nelle sfere dei professionisti della politica globale, alcune novità sono state immediatamente registrate. Va detto anche che, al momento, alla domanda su chi abbia incastrato Salvini nessuno ha risposta certa, ma solo serie ipotesi. […]

Il campanello d’allarme che avverte di un nuovo clima in Europa suona proprio nella capitale di uno stato simbolo, un luogo che è stato un passaggio cruciale del conflitto europeo del secolo scorso: l’Austria. Il 17 maggio di quest’anno, a poche ore dal nuovo voto europeo, per il quale le urne si aprono dal 23 al 26, viene reso pubblico un video che riguarda il politico più discusso e più in ascesa dell’Austria, Heinz-Christian Strache, leader del partito di estrema destra, il Freedom Party. Nel video, girato nel 2017 in una villa di Ibiza, Strache e un suo collega, parlano per sei ore di donazioni illegittime al partito, con una donna che si presenta come la nipote di un oligarca russo, che vuole influenzare la politica austriaca con il suo denaro. La donna vuole comprare il 50 per cento di un grande giornale austriaco, per aiutare il Freedom Party. Strache, che si impegna a darle in cambio ricchi contratti di Stato, tira in mezzo anche il sovranista Viktor Orban, dicendo di voler «costruire un panorama mediatico» come quello in Ungheria – in ammirazione della politica di chiusura dei media in quel Paese.

L’incontro era una trappola. Il video viene passato ai media tedeschi e in poche ore porta alle dimissioni di Strache, cancella l’Austria dalle elezioni europee, e distrugge il Governo austriaco, che si avvia a nuove elezioni questo settembre.

Per molti versi la vicenda sembra una storia molto locale, di un Paese da sempre attraversato da una forte corrente di estremismo di destra. Ma la lezione nel cuore dell’Europa centrale viene ben capita. Il Freedom Party di Strache è stato fondato da un neo nazista e si dichiara amico della Russia. Il giovane cancelliere Sebastian Kurz forma una coalizione con questo partito, nel 2017, ricevendo molte critiche, incluso dalla Germania, nell’idea che i conservatori moderati possano a loro volta servire a moderare, con l’inclusione nel governo, i neonazi.

Strategia che fallisce miseramente. Ma il potenziale impatto dello scandalo accende l’attenzione internazionale su quel che può accadere nel resto dell’Europa. Alina Polyakova, esperta di questioni di estrema destra per il Brookings Institute di Washington, scrive sul New York Times che la vicenda prova che gli estremisti non possono essere moderati, anche quando entrano al Governo. «Altri politici europei che si trovano a confrontare con una destra estrema dovrebbero capirlo. A fronte di tutta la retorica di sovranità nazionale regolarmente celebrata da Marine Le Pen, Matteo Salvini e altri leader populisti, la caduta di Strache prova che tutte queste idee sono solo copertura di opportunismo e ipocrisia».

Che i populisti siano un pericolo da fermare è un’idea che assume una forte valenza proprio intorno a quello scandalo, nelle ore immediatamente a ridosso dell’apertura delle urne per le europee.

Chi c’è dietro quella trappola? Molti parlano degli stessi russi, ma molti vi vedono un ruolo tedesco – magari non di organizzazione, ma certamente di facilitazione. Sono i giornali tedeschi che riverberano lo scandalo, il tema del pericolo populista; ma è soprattutto Vienna a far scattare l’associazione con la Germania. Dire Austria ha avuto a lungo il significato, ed è vero ancora oggi, di dire Germania. Dalla tragica avanguardia antisemita della “Notte dei cristalli” nel 1938, alla guerra pericolosa e sottile degli anni della Guerra Fredda, appunto. L’influenza della Germania è ancora oggi molto estesa, nei Paesi dell’Est. I rapporti fra Russia e Germania sono nella storia europea fra i più stretti: persino nella divisione creata dal Muro, quando la Germania era il cuore e il confine di un conflitto per la sopravvivenza di due modi di vedere l’Europa, questi rapporti sono rimasti intrecciatissimi. Proprio per questo, nella Guerra Fredda gli inglesi e gli americani in prima fila contro la Russia si sono sempre basati sulla struttura operativa, inteso come uomini, conoscenze, contatti, costituita dalla rete tedesca – spesso delle due parti della Germania. […]

L’ 8 luglio, meno di due mesi dopo la tempesta austriaca, arriva un’altra pubblicazione, quella degli audio di un gruppo di leghisti che, suppostamente a nome della Lega di Matteo Salvini, tratta un finanziamento illegale con dei russi a tutt’oggi non identificati. La trattativa non va in porto nemmeno questa volta, come non era andata in porto quella di Ibiza. Le somiglianze con il caso austriaco sono però sorprendenti: i due avvenimenti sono la fotocopia l’uno dell’altro. E il parallelismo non va perso.

La Lega si difende dallo scandalo, sottolineando l’aspetto geopolitico della trappola, cita i Servizi, parla dei francesi, della Massoneria. Gli avversari della Lega evocano la possibilità che gli stessi russi avrebbero tradito il proprio alleato – per fare un favore all’America, per scaricare un alleato che ha tradito le aspettative. Ma la storia che siano gli stessi russi è in parte troppo contraddittoria. Seguendo invece la pista della “operatività” e del “cui prodest”, si arriva molto più vicini a una pista più politicamente fondata.

La trappola stavolta viene resa nota per vie americane, Buzzfeed e New York Times. E non è audace sostenere che è questo il passaggio che serve: laddove la questione austriaca era molto europea, il rapporto con Mosca di Matteo Salvini, vincitore delle elezioni europee e astro nascente del nazionalismo europeo, ci porta dritti diritti agli americani, che pure, nel 2019, dovrebbero essere alleati del leader leghista tanto quanto Putin. E la domanda che si pone è: Washington sapeva o meno? Gli Usa sono stati protagonisti o solo spettatori? E sono stati contenti o meno? […]

Ma non è forse l’amministrazione Trump amica di Salvini e dialogante con Putin?

Questa definizione, che dal nostro lato dell’Atlantico, è una opinione indiscussa, a Washington non è invece tale. L’America non sta con Putin e non intende lasciare via libera alla Russia in Europa. […] Il rapporto fra Putin e i nazionalisti europei ha finito con il diventare una sfida frontale alla sovranità europea, i nazionalisti visti come la quinta colonna, la “porta di servizio” attraverso cui la Russia rientra in Europa. […]

Intanto, la scena politica sembra ampiamente appoggiare l’ipotesi di una Germania che allarga il proprio campo di azione. […]

Che il primo atto della presidente Von der Leyen sia stato quello di non incontrare Salvini e di allontanare i voti leghisti è un altro segno di una lotta che si sposta dal controllo delle spese delle nazioni alla sfida diretta. Così come inequivocabili sono state le parole di Angela Merkel, nei primi giorni del nuovo governo europeo, sul tema oggi più sensibile – il nazismo e il pericolo di una destra che ritorna in Europa. Nel discorso di commemorazione del fallito attentato ad Adolf Hitler, Merkel ha collegato l’evento al presente della Germania: «Questo giorno ci ricorda non solo chi agì nel 20 luglio del 1944, ma tutti coloro che si sono opposti al regime nazista. Oggi siamo ugualmente obbligati a opporci a tutte le tendenze che cercano di distruggere la democrazia. Compreso l’estremismo di destra».

È stato questo l’inizio di un nuovo ruolo, più “interventista” dell’Europa nella difesa della propria stabilità? La guerra che la Russia ha portato nel nostro continente, attaccando l’Ucraina, e contro cui l’Europa ha reagito, prova che non stiamo parlando di sciocchezze.

LA STAMPA

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