Il crepuscolo della civiltà

MASSIMO GIANNINI

Puntuale come il destino, l’uomo bianco che uccide il nero torna a sconvolgere le nostre vite e le nostre coscienze. Ancora una volta un piccolo centro delle Marche. Ancora una volta un assassinio brutale alla luce del giorno, sotto gli occhi di chi passa e non muove un dito se non per accendere il telefonino. Ancora una volta l’indifferenza del “forgotten man” occidentale. Ancora una volta la rabbia della comunità di colore, colpita e inferocita. Ancora una volta le reazioni ottuse della politica. Ancora una volta la polemica elettorale, che infiamma l’estate e brucia la ragione.

Il 3 febbraio 2018, festa di San Biagio, ventinove giorni prima delle elezioni del 4 marzo, a Macerata Luca Traini mise in tasca la sua Glock calibro 9, salì sulla sua Alfa 147, fece il pieno di metano e al benzinaio disse: “Vado a sparare ai negri”. Voleva vendicare il martirio della povera Pamela Mastropietro, stuprata e massacrata pochi giorni prima da Innocent Oshegale, uno sbandato nigeriano di 29 anni. E lo fece, il “Lupo” italiano. Lo fece. Andò davvero a “sparare ai negri”. Girò in macchina, per le vie della sua cittadina, facendo fuoco su chiunque avesse la pelle di un colore diverso dalla sua. Un evento tragico. Ma a suo modo anche epifanico: l’inizio della fine di una civiltà. Oggi ci risiamo. In un rovente 29 luglio, festa di Santa Marta, cinquantotto giorni prima delle elezioni del 25 settembre, a Civitanova tocca a un altro italiano, Filippo Forlazzo, consumare la sua folle vendetta contro i “negri di merda”. Stavolta non l’ha premeditata. Non ha preso una pistola. Non ha sparato a casaccio, contro il nero anonimo che li rappresenta tutti e che per questo lo spaventa. Stavolta la vendetta gliel’ha regalata il fato. Ha usato una stampella.

Ha ucciso il “nero giusto”, proprio quello che “se l’è meritato”, perché aveva importunato la sua ragazza, o aveva insistito troppo per venderle una delle misere cianfrusaglie con le quali si guadagna un pezzo di pane per far campare sua moglie e il suo bambino. Per questo Forlazzo, operaio originario di Salerno, ha pestato di botte e infine “giustiziato” Alika Ogorchukwu. Nigeriano pure lui per una maledetta legge del contrappasso, visto che oggi Alika è la vittima di Filippo mentre quattro anni fa Oshegale fu il carnefice di Pamela.

È diverso il fatto. È diverso il movente. Ma è uguale l’orrore. E forse è uguale anche il contesto. Che in Italia, in fondo, non è mai cambiato. C’è un razzismo strisciante, spicciolo e diffuso, pronto a riesplodere per un niente all’improvviso. Come un’altra faccia del nostro “scontro di civiltà”. Come un “Crash” all’italiana, il magnifico film di Paul Haggis dove il conflitto bianchi-neri è latente ma permanente. Come un ciclico ritorno al di qua dell’Oceano del fantasma di George Floyd, dove l’ossigeno non lo tolgono i poliziotti ma i cittadini comuni. Dai tumulti di Rosarno, il 7 gennaio 2010, fino a Macerata. Da San Ferdinando, dove il 2 giugno 2018 fu freddato a fucilate il maliano Sumaila Sako, sindacalista dei migranti che per dieci euro al giorno raccolgono pomodori per le nostre tavole, fino ad Alassio, dove un anno dopo un ragazzo di colore che vendeva i libri in spiaggia fu inseguito tra gli applausi festosi dei bagnanti dal cane Speed che, spiegava fiera la padrona, “ringhia solo quando passano i negri, perché li riconosce dall’odore”. Da Civitanova, adesso, fino a Recanati, dove l’altra notte un altro italiano, in circostanze ancora da accertare, ha preso a coltellate un giovane marocchino di 22 anni davanti a un cinema.

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