Letta spera ancora: “Porte aperte ad Azione, se vanno da soli fanno un favore alle destre”
FILIPPO FIORINI
La Festa dell’Unità regionale dell’Emilia rossa non ha più i fasti del passato, ma l’arrivo del segretario di partito tra i volontari in cucina ha sempre qualcosa di magico: ai militanti si illumina il volto. Certi si congelano a guardare Enrico Letta che si muove tra i fornelli e assaggia il ragù. Altri corrono a prendere il cellulare per un selfie, promettendo di mandare la foto a tutti quelli che adesso non lo riescono a trovare. Poi, mentre colui che sta tentando di unire il centro e la sinistra italiana in un’unica coalizione si sposta dalla «Piazzetta Street Food» allo stand «I Sapori di Montagna», una donna lo prende per il braccio.
Wanda ha lavorato 36 anni in ceramica, riceve mille e cento euro di pensione, nel portafogli ha ancora la tessera del PCI 1985 e gli dice: «Enrico, non prenda Renzi!», e lui ghigna un po’ imbarazzato, perché, se ha appena negato l’evidente corteggiamento del Partito Democratico all’ex presidente della Camera Fico (M5S), con un freddo «non c’è stato nessun contatto con lui e gli ex 5 Stelle, Crippa e D’Incà», ha anche appena detto ai giornalisti di voler lanciare «un appello accorato, per convincere tutti coloro che vogliono far parte della nostra alleanza ad esserci, senza veti». E questi sono proprio Calenda e Renzi.
Eccolo il nodo elettorale da tagliare con un colpo di diplomazia: secondo gli ultimi sondaggi, il Pd da solo è al 22,8% in crescita, mentre Fratelli d’Italia al 23,5%. Il problema è che la destra ha un’alleanza già fatta che, insieme (contando Lega, Forza Italia e altri), arriva sopra al 46% delle intenzioni di voto. Per sperare di poterlo battere, il centrosinistra non solo deve recuperare terreno, ma deve riuscire anche a far coesistere sensibilità politiche che per natura sono contrapposte: Azione di Carlo Calenda, Italia Viva di Matteo Renzi, da una parte, Sinistra Italiana, e gli ex grillini, dall’altra.
Allora Letta mette in chiaro le sue intenzioni, cita testualmente Renzi, che aveva offerto a Calenda di unirsi a lui in un «terzo polo» di centro, e lo rimprovera: «Penso che un terzo polo in questo momento sia il modo migliore per aiutare le destre e le destre non hanno bisogno di altri aiuti». Ma il tempo stringe, le elezioni sono il 25 settembre e la campagna infuria. Quanto ancora si può aspettare, quando i leader di Azione e Italia Viva hanno detto quasi in coro che loro con l’ex 5 Stelle Di Maio e il radicale Fratoianni (SI) non ci staranno mai?
Allora Letta pone un limite: «L’inizio di questa settimana dev’essere il momento in cui ci chiariamo le idee. Poi, ognuno si assume le sue responsabilità». Responsabilità, che poi resterebbero anche se questa coalizione che Letta chiama «campo largo» andasse in porto. Come far digerire, infatti, agli elettori del Pd le apostati di Forza Italia, Gelmini e Carfagna, appena convertitesi ad Azione? «Io affronto questa battaglia con lo spirito di non mettere veti e trovare soluzioni – spiega – invito tutti a ragionare allo stesso modo. L’obiettivo è quello di una larga alleanza, che sia in grado di convincere gli italiani. I sondaggi dimostrano che l’elettorato è mobile, dobbiamo rispondere a queste aspettative».
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