Elezioni, M5s: la battaglia sui capilista

Ilario Lombardo

ROMA. Una curiosità: gli scissionisti di Luigi Di Maio sono ancora iscritti alla piattaforma delle adunate online del M5S, Skyvote. Sicuramente Giuseppe Conte e Beppe Grillo saneranno questa anomalia prima di dare il via alle “parlamentarie”, ma il fatto che ieri se ne sia parlato ai vertici del Movimento è la prova di quanto sulla selezione dei prossimi candidati ci sia grande agitazione.

La composizione delle liste è la vera battaglia che Conte intende vincere con Grillo. L’ex premier vuole mano libera sui capilista. È il compromesso che proporrà al comico genovese nelle prossime ore. Si faranno le elezioni vecchio stile sulla Rete, come vuole Grillo: gli attivisti si potranno candidare assieme agli eletti che ancora hanno la carta del secondo mandato da giocarsi, ma Conte deciderà chi mettere al primo posto del listino proporzionale. Con questa legge elettorale, la stessa del 2018, è l’unico reale margine di manovra che resta al leader per garantirsi un gruppo compatto di fedelissimi. Rispetto a 5 anni fa, le prospettive del M5S sono diversissime. Allora i grillini erano lanciati verso un trionfo alle urne e il capo politico – era Di Maio – poteva contare sul casting dei candidati nei collegi uninominali, molti dei quali sarebbero entrati in massa in Parlamento, anche senza aver mai avuto un legame storico con il M5S. Questa volta, sulla parte maggioritaria del Rosatellum, le speranze di un partito che (al momento) andrà in solitaria sono nulle. I collegi potrebbero essere zero.

Grillo ha chiesto una rigenerazione e vuole parlamentarie pure: no a deroghe sul principio della territorialità, né pluricandidature. Avere l’ultima parola sui capilista nel proporzionale, però, per Conte è vitale. E lo considera suo diritto da statuto, a differenza del terzo mandato, dove il ruolo del garante è rimasto centrale. Solo così chi lo ha seguito nella lunga e tormentata faida interna che ha stravolto il Movimento può avere maggiori chance di essere nel gruppo più striminzito degli eletti, una cinquantina, forse qualcosa di più, tra Camera e Senato. Il caso di Stefano Patuanelli è l’esempio che fanno tutti. Il ministro dell’Agricoltura è candidabile in Friuli Venezia Giulia. Nel 2018 è stato eletto senatore. Ma oggi, al Nord, il M5S praticamente non attrae più voti. Se fosse indicato in un collegio uninominale sarebbe spacciato. Conte dovrebbe piazzarlo in cima al listino della Camera, dove ci sono più possibilità di spuntarla. Sui capilista, un cedimento dell’avvocato al garante potrebbe essergli fatale. Non solo per l’immagine che, dopo il diktat di Grillo sui mandati, rimanderebbe di leader per l’ennesima volta indebolito e con poteri dimezzati. Ma anche perché Conte vuole tutelarsi dal timore di «infiltrati» che sono rimasti attivisti a pieno titolo nel M5S ma con simpatie verso Di Maio e che potrebbero essere manovrati dal suo braccio destro Pietro Dettori, ex uomo della Casaleggio dentro l’Associazione Rousseau. Soprattutto in Campania, dove ieri si è tenuta una lunghissima riunione. Nella regione che è un po’ il fortino del Movimento, gli iscritti sono saliti fino a 18 mila. Sono segnali che Conte reputa positivi. Come i sondaggi.

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