Variabile Draghi sul voto. Da Rimini a New York: un’agenda che può pesare sulla campagna elettorale

Adalberto Signore

I sondaggisti sono concordi nel dire che la campagna elettorale si giocherà sullo sprint dell’ultimo miglio. O, fuori dalla metafora sportiva, nello spazio compresso di un solo mese: dal 22 agosto al 25 settembre, giorno in cui – dopo 103 anni – l’Italia andrà alle urne in autunno (l’ultima volta, il 16 novembre 1919, eravamo ancora il Regno d’Italia). Sarà in quelle quattro settimane – archiviata il 14 agosto la partita dei simboli e il 22 agosto quella della presentazione delle liste – che la palla dovrà necessariamente passare ai programmi. Perché, anche su questo convergono i sondaggisti, il rischio fascismo o la politica estera non scaldano un elettorato che tornerà dalle vacanze sempre più preoccupato di non arrivare alla quarta settimana del mese (secondo Tecné ben sei italiani su dieci, sette al Sud).

La politica, insomma, dovrà confrontarsi su inflazione, crisi energetica, aumento del costo dei prodotti alimentari, occupazione e salari. E c’è da chiedersi se e quanto possa pesare in questa campagna elettorale lampo l’agenda di un Mario Draghi che – lo ha confermato la conferenza stampa di giovedì scorso – non sembra intenzionato a sedersi in disparte. Anzi, i suoi due interventi di peso saranno proprio all’inizio e alla fine del cosiddetto «ultimo miglio». Il primo il 24 agosto al Meeting di Cl, un appuntamento destinato a diventare centrale per la politica italiana visto che tra il 20 e il 25 agosto sono attesi a Rimini – oltre al premier e al sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Roberto Garofoli – ben sette ministri (da Giancarlo Giorgetti a Mariastella Gelmini, passando per Andrea Orlando, Roberto Speranza, Elena Bonetti) e diversi leader di partito. L’ultimo intervento pubblico, invece, sarà il 21 settembre al Palazzo di vetro, davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Uniti. A chiudere una tre giorni a New York nella quale Draghi ha già diversi appuntamenti in programma.

Per Rimini, l’ex numero uno della Bce ha in mente un intervento che segua la scia dell’ultima conferenza stampa. Rivendicherà i risultati ottenuti dal suo governo, in particolare la crescita del Pil (mai così alta negli ultimi venti anni) e dell’occupazione (400mila posti in più rispetto al 2021). E ribadirà che la cosiddetta «agenda Draghi» è soprattutto metodo (quello di aggredire le emergenze, come con il Covid) e credibiltà internazionale. Un modo per lasciare elegantemente intendere una cosa: che il metodo si può applicare da sinistra come da destra, a prescindere da chi vorrebbe oggi appropriarsi della sua «agenda». Insomma, ognuno ci metta i contenuti che vuole, purché i dossier vengano affrontati con celerità e una forte credibilità internazionale (fondamentale per relazionarsi con tutti gli interlocutori, a partire da Bruxelles). L’intenzione, insomma, è quella di fornire dei «consigli di buongoverno» a chi verrà. Per certi versi, un po’ la chiusura del cerchio rispetto al suo intervento al Meeting di due anni fa, quando fece il famoso distinguo tra «debito buono» (quello utilizzato per realizzare investimenti) e «debito cattivo» (fatto di sussidi a pioggia), indicando di fatto la sua idea di governo.

A New York, invece, Draghi – vista anche l’imminenza del voto in Italia – si guarderà da qualsiasi riferimento alla politica italiana. Ma ribadirà la collocazione atlantica dell’Italia, la posizione a favore di Kiev e fortemente critica verso la Russia e l’invasione dell’Ucraina. Rivendicherà, insomma, quanto fatto sul fronte della politica estera in questi diciotto mesi di governo.

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