Se l’agenda Draghi diventa Smemoranda
Massimiliano Panarari
Di questo passo l’Agenda Draghi rischia di trasformarsi in una Smemoranda. Di certo, per citare uno scambio al fulmicotone tra i duellanti Carlo Calenda e Nicola Fratoianni – molti politici italiani, si sa, sono annoverabili fra twittatori più veloci del West – non si trova nelle cartolerie. Mentre, all’indomani della (sciagurata) caduta dell’esecutivo presieduto da Mario Draghi la sua «Agenda» – che esiste, a dispetto di alcuni “negazionismi” strumentali, e di cui si sono viste implementate alcune pagine – già non va più granché a ruba fra i partiti che se ne erano dichiarati custodi e continuatori. Dopo essere stata invocata quale pilastro dell’identità riformista del centrosinistra, e indicata dal Pd quale discrimine (seppur con l’integrazione di un’«appendice» più sociale) per le proprie alleanze, adesso quasi non se ne sente più parlare.
Il suo autore, fedele al ruolo di tecnico chiamato dal presidente della Repubblica a guidare un governo di larghe intese sorretto da una maggioranza composita, ha voluto precisare – durante la conferenza stampa di presentazione del «Decreto aiuti bis» – alcune questioni, in modo da evitare di venire inserito a forza all’interno di una mischia che non gli appartiene. E ha qualificato l’Agenda alla stregua di una metodologia fondata sulla «risposta pronta e la credibilità», alquanto distante dai libri dei sogni (sottinteso dei politici in assetto elettoralistico).
La memoria corta, come noto, è un problema generalizzato di questo nostro Paese, e unisce largamente e trasversalmente elettori ed eletti. Così, immersi nel pieno di una campagna elettorale caduta repentinamente sulle nostre teste, alcuni leader sono ben felici di pensare di potersi sbarazzare di questa eredità, mentre altri sembrano un po’ gli “smemorati di Collegno”. Il Pd – la formazione politica più leale nei confronti del premier – si trova a dover mediare, anche internamente, con degli orientamenti di sinistra (più o meno) radicale maggiormente inclini verso altre piattaforme (compresa un’inopinata e, verrebbe da dire, assai funambolica «agenda Conte»). Alla fine, pertanto, a rivendicare con maggiore decisione il lascito dell’Agenda Draghi sono alcuni settori della società civile – non direttamente “scesi in campo” nella competizione elettorale, come ovvio – e i centristi del (costituendo e volubile, oltre che a geometrie variabili) Terzo polo, peraltro alla ricerca di un’identità più che di una metodologia.
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