Covid, ecco il vaccino bivalente contro il virus di Wuhan e le sue varianti. Come funziona, quanto ci protegge e se metterà fine alla pandemia

Anche l’efficacia della vaccinazione primaria contro la malattia sintomatica era inferiore per Omicron, ma a differenza di quanto osservato per la malattia grave, l’efficacia del vaccino è diminuita rapidamente tra 1 e 6 mesi. Un mese dopo la vaccinazione di richiamo (3° dose), l’efficacia del vaccino contro Omicron è stata generalmente superiore per tutti gli esiti considerati (malattia grave, forme sintomatiche). In particolare, la diminuzione dell’efficacia del vaccino dopo il richiamo è stata modesta per la malattia grave, più accentuata nei confronti della malattia sintomatica. Gli autori quindi concludono che l’efficacia della vaccinazione primaria nei confronti della malattia grave causata da Omicron, è inferiore a quella osservata contro le altre varianti, con un lieve ulteriore declino nel tempo. La vaccinazione di richiamo aumenta l’efficacia del vaccino che resta alta per 4 mesi dopo la vaccinazione. L’efficacia del vaccino contro la malattia sintomatica diminuisce rapidamente dopo la vaccinazione primaria così come dopo il richiamo, anche se in misura minore, rispetto a quanto avviene per la sola vaccinazione primaria.

Quarta dose
L’efficacia della quarta dose di vaccino a mRNA nel prevenire la mortalità in soggetti ricoverati nelle residenze sanitarie protette e negli anziani, è stato oggetto di uno studio di coorte retrospettivo condotto in Svezia (Nordström P. e altri). Si sono valutate due coorti di soggetti utilizzando i registri nazionali; la prima costituita dai residenti delle strutture di assistenza a cui è stata somministrata la 4° dose di vaccino a mRNA dal gennaio 2022 in poi e la seconda che comprendeva, tutti gli individui di età pari o superiore a 80 anni a cui è stata somministrata la 4° dose. È emerso dai risultati dello studio che rispetto alla 3° dose, la 4° dose di un vaccino a mRNA somministrato nel periodo di circolazione di Omicron, si è associato ad un ridotto rischio di morte per tutte le cause nei residenti delle strutture di assistenza e nelle persone più anziane durante i primi due mesi, passati i quali, la protezione si è lievemente ridotta. La 4° dose quindi può prevenire la mortalità nelle persone più anziane e più fragili, anche nei confronti di Omicron, anche se i tempi della vaccinazione potrebbero rappresentare un elemento limitante per il possibile calo della protezione. Per valutare l’attività anticorpale neutralizzante nei confronti di 21 varianti di SARS-CoV-2 in anziani e vaccinati con vaccino Pfizer, sono stati testati 72 campioni di sieri provenienti da 37 individui di età compresa tra 70 ed 89 anni, vaccinati con due dosi, per valutare a distanza di tempo la capacità neutralizzante virale da parte degli anticorpi (Newman J. e altri). I risultati della ricerca hanno confermato una sostanziale immuno-evasione per le varianti Omicron, Delta e Theta. In particolare, si è dimostrato che il cambiamento nella posizione 484 nel sito recettoriale di legame (RBD) si rende responsabile della riduzione di efficacia degli anticorpi neutralizzanti. E’ interessante notare che 19 sieri degli stessi individui che avevano ricevuto la terza somministrazione di vaccino Pfizer, presentavano titoli anticorpali neutralizzanti più elevati con una migliore protezione crociata contro Omicron 1 e 2. La conclusione di questa ricerca è che, nonostante l’immunità protettiva diminuisca nel tempo nei soggetti anziani, i vaccini di richiamo possono stimolare la presenza di anticorpi neutralizzanti in grado di proteggere questa popolazione vulnerabile, anche nei confronti delle varianti.

Effetti
L’efficacia del vaccino (1,2 o 3 dosi) Pfizer (a mRNA) e Coronavac (virus inattivato) è stata valutata in uno studio osservazionale di popolazione ad Hong Kong (Mc Menamin M. E. e altri) dove, tra il 31 dicembre 2021 ed il 16 marzo 2022, sono state somministrate 13,2 milioni di dosi di vaccino a 7,4 milioni di abitanti. Nello stesso periodo i casi confermati di COVID-19, lieve o moderato, sono stati 5.566, quelli gravi o fatali 8.865 e fatali 6.866. Due dosi di vaccino hanno protetto, contro la malattia grave e la morte, in modo più efficace gli adulti di età pari o maggiore di 60 anni, se vaccinati con il vaccino Pfizer rispetto a Coronavac. Tre dosi di entrambi i vaccini hanno comunque offerto livelli molto elevati di protezione contro gli esiti gravi o fatali (97,9%). Da questo studio emerge che la terza dose di vaccino, sia Pfizer che Coronavac, fornisce una protezione aggiuntiva contro COVID-19 nelle fasce di età superiori a 60 anni e nelle popolazioni ad alto rischio che hanno ricevuto il vaccino Coronavac. Per questo motivo, la somministrazione di una dose aggiuntiva di vaccino deve essere considerata una priorità di sanità pubblica. È stato studiato l’effetto del blocco di interleuchina 6 sull’immunità a lungo termine di SARS-CoV-2. In particolare, è stato condotto uno studio di coorte longitudinale in pazienti ospedalizzati per COVID-19 grave o critico (Mar Masia e altri). Sono state studiate le risposte anticorpali nei confronti dello spike e del nucleocapside, il titolo degli anticorpi neutralizzanti e la funzione delle cellule T espressa dalla produzione in vitro di interferone gamma. È stata anche valutata l’incidenza di infezioni a distanza di un anno nei pazienti sottoposti al blocco di interleuchina 6 con il farmaco tocilizumab, rispetto ai soggetti non trattati. Da questa indagine, condotta in 150 soggetti, è emerso che il blocco di interleuchina 6 in fase acuta di malattia non produce effetti negativi sull’immunità a lungo termine nei confronti di SARS-CoV-2. Al contrario, l’entità delle risposte anticorpali e delle cellule T risulta maggiore nei pazienti trattati rispetto a quelli non trattati senza che ciò comporti un aumento del rischio di reinfezioni.

Cure
L’impiego di tixagevimab-cilgavimab nel trattamento dei pazienti ospedalizzati per COVID-19, è stato oggetto di uno studio randomizzato in doppio cieco di fase 3 condotto in 81 siti in Europa, Stati Uniti, Uganda e Singapore. In particolare, i pazienti ricevevano, in aggiunta al remdesivir ed altre cure standard, tixagevilmab-cilgavimab o placebo. Dai risultati è emerso che la somministrazione dell’anticorpo monoclonale non ha migliorato i tempi di guarigione, ma, se associato al remdesivir ed alla terapia standard, oltre ad essere sicuro e ben tollerato riduceva la mortalità. Uno studio di coorte condotto su una popolazione di oltre 4 milioni di persone in Danimarca, tra febbraio 2020 ed ottobre 2021, (Nilsson S.F. e altri) ha evidenziato che individui socialmente emarginati e psichicamente vulnerabili, presentano rischi elevati per la salute a seguito dell’infezione da SARS-CoV-2. Per questo motivo, è importante che la prevenzione delle infezioni e la protezione dei gruppi più vulnerabili, sia una priorità di Sanità pubblica nel corso di questa e delle prossime pandemie. Un ampio studio (Rodin S e altri) condotto su una popolazione di oltre 2 milioni di bambini, ha evidenziato i fattori di rischio per l’insorgenza della sindrome infiammatoria multisistemica che rappresenta una grave patologia osservata in corso di malattia grave dei bambini. Lo studio è stato condotto in Svezia ed ha incluso tutti i bambini ed adolescenti al di sotto dei 19 anni, nati tra il 1 marzo 2001 ed il 31 dicembre 2020. Sono risultati fattori di rischio, per la sindrome infiammatoria multisistemica, le seguenti condizioni: il sesso maschile, l’età tra i 5 ed 11 anni, l’avere genitori nati all’estero, soffrire di asma, obesità e condizioni svantaggiose. L’identificazione di questi fattori potrebbe consentire interventi precoci e mirati per prevenire questa grave forma di malattia tipica dell’età pediatrica che comunque, anche in questa ampia casistica, risulta avere una incidenza bassa.

LA STAMPA

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