Cittadini, imprese e partiti: un esempio ignorato

di Federico Fubini

Si direbbe che l’Italia proceda a due velocità in quest’estate elettorale: gli aventi diritto al voto dimostrano di saper leggere la realtà meglio di coloro che si candidano a essere votati. Per capire come ciò sia possibile basta seguire le mosse degli uni e degli altri, passo dopo passo, in rapporto al contesto europeo che il Paese è oggi chiamato ad interpretare.

Gli italiani nelle città, nei distretti produttivi e persino nei luoghi di vacanza stanno dimostrando una capacità di adattamento e reazione ai grandi choc che è passata ingiustamente sotto silenzio. Oggi molto di quel che accade in Europa arriva in Italia condensato in un numero: il prezzo del gas — principale fonte di energia nel Paese — che ieri è arrivato a costare quasi dodici volte i livelli ritenuti normali fino a poco tempo fa, un mai visto prima. Quanto a questo, l’Italia è fra i Paesi che negli ultimi mesi ha prodotto le risposte più convincenti e non solo per la capacità del governo di Mario Draghi di assicurare un riempimento degli stoccaggi più rapido che in gran parte dell’Unione europea. Anche le famiglie, i lavoratori autonomi, gli imprenditori e i loro dipendenti stanno facendo la loro parte.

Non si spiega altrimenti perché in luglio l’Italia, senza misure vincolanti del governo, sia riuscita a ridurre i consumi di gas di quasi il 30% rispetto a un anno fa: più di Germania, Francia, Spagna e molto più della media europea. Soprattutto è notevole che lo abbia fatto con una flessione di appena 1,2% della produzione industriale, segno che gli italiani si sono adattati a fare (quasi) altrettanto con molto meno. Lavorano di notte per tenere spenta l’aria condizionata nel capannone, magari. Ma hanno capito la situazione e aggiornato i loro software rapidamente.

Già, e i partiti? Non è altrettanto chiaro che si stiano mettendo al passo. Sarebbe facile misurarli dalla riproposizione un po’ stanca dei soliti cavalli di battaglia, dalla «flat tax» alla dote per i giovani, fino all’intramontabile passione grillina per bonus e sussidi. Prendiamo invece un criterio preciso: come si pongono rispetto al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) le due grandi coalizioni che si candidano a governare il Paese? In fondo si tratta della grande scommessa europea di questi anni e naturalmente sul Recovery entrambe sono pronte a giurare, ingolosite dalla prospettiva di gestire gli oltre 200 miliardi. Eppure, non appena si cerca dietro la facciata del grande consenso bipartisan per l’Europa, si presenta un reticolo di incoerenze e ambiguità. Le si riscontrano nei silenzi sulla spending review prevista con il Piano di ripresa, così come nell’azione dei partiti in questi ultimi mesi o nei programmi diffusi fino ad ora, spesso privi di cifre.

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